venerdì 21 settembre 2012

Eid Mubarak


Camminare per le strade e sentire aria di festa, vedere così  tanta gente per strada, i vestiti buoni, lo scambio dei doni, i bambini che fanno il bagno nell’oceano, mangiare il cibo delle grandi occasioni in una casa piena di amore e umanità… è finito il Ramadan e la vita a Bagamoyo si desta nuovamente.
Tornata da poco in Africa, ci ho messo un po’ a tornare in “modalità Tanzania”… certe sensazioni riesci a provarle più nettamente solo quando percepisci la differenza.. e dopo due settimane a casa era inevitabile farlo..
Nella mia mente mille pensieri.. a volte mi sento così  immersa in questa realtà che non mi rendo davvero conto di essere in Africa.. altre volte invece gli sguardi delle persone lasciano trapelare la distanza.. vedere i bambini che ti guardano come fossi un alieno a volte fa sorridere, altre volte ti riporta con i piedi per terra…
E poi ti ritrovi a parlare per ore con persone stupite perché un mzungu parla la loro stessa lingua, con persone stupite perché mzungu ha trovato il tempo di sedersi a condividere un pasto con loro, perché un mzungu ha un nonno che fa il contadino.. Alla domanda di un uomo stupito “Perché i wazungu coltivano?” cosa volete rispondere..
E riscopri la semplicità delle piccole cose, dei piccoli gesti.. Scopri che i nodi e gli incassi non sono un esercizio lungo una settimana di un campo estivo, ma qui sono ancora la struttura che regge le case… scopri che è così naturale ricevere in dono un cestino di pomodori e tornare il giorno seguente con un piatto di spaghetti al pomodoro… scopri che una giornata di lavoro può essere meno pesante se qualcuno passa a donarti un sorriso, ed uno spuntino.. scopri che sotto la superficie del’acqua dell’oceano c’è un mondo altro da liberare… scopri che in cielo ci sono tante, ma tante, ma tante più stelle di quelle che potessi immaginare…  scopri che anche in Tanzania fanno il kitchen party, ma che qui ha il sapor di tradizione e di donna.. scopri che la religione può pervadere ogni cosa, e il domani sarà migliore se Dio lo vorrà.. scopri che qui la semplicità è ancora vita quotidiana…
Tutte cose che non bisogna arrivare in Tanzania per scoprire, ma che a casa a volte non abbiamo lo sguardo limpido per vederle con attenzione, non abbiamo il tempo di soffermarci ad apprezzarle.. Molte volte viaggiamo così tanto, ma rimaniamo chiusi in noi stessi.. Qui spesso questa dimensione di essenzialità diventa così determinante da ridarti quella sensazione di pace che in mezzo all’oceano, di fronte ad un sole così grande e luminoso pensi…  “Sì, ho davvero la fortuna di essere in Africa…”

La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne realtà.

Serena Morelli da Bagamoyo, Tanzania

La cupola azzurra e la capanna di canne


Domenica 26 agosto 2012


Nove di mattina, assolata, calda, domenica mattina a Pariang, nel nord del Sud Sudan, nuvole lunghe, alte e sottili, spalmate sul cielo azzurrino, una cupola immensa, larga  e aperta come solo alcuni cieli d’Africa possono essere. Cammino con Michael, il nostro agronomo, la lunga strada dritta che attraversa il villaggio, terra marrone, chiamata marram, l’unica che drena un po’ l’acqua che cade quando la cupola azzurra diventa grigia, cupa e minacciosa, e poi piange. Cerchiamo un trattore per portare del materiale a Nyeel, a 40 chilometri da qui, e’ l’ unico mezzo che puo’ farcela in questa stagione, ma trattori non ce ne sono, mi guardo intorno, cerco un posto per comprare una ricarica telefonica, vedo una ragazza, seduta su uno sgabello basso, frigge qualcosa, sembrano frittelle, ne compro 3 per un pound, un quarto di euro praticamente, il locale mi ispira e propongo a Michael di entrare per un the, abbasso la testa per entrare nella capanna di canne, 4 metri per 5, il suolo rugoso, irregolare, in terra battuta, calpestata da mille piedi e sporca di farina e chissa’ cos’altro. Ci sediamo sulla sedia di plastica marroncina, mi guardo attorno e c’e un vecchietto e 4 o 5 ragazze sedute a bere il the, non parlano, sembrano rilassate e serene, sicuramente non indaffarate, una sorseggia the all’ibisco, chiamato karkade’, ne provo uno anch’io, dolcissimo, mezzo bicchiere di zucchero  in un bicchiere di the, arrivano le frittelle, 4 al prezzo di 3, la ragazza ci aggiunge un cucchiaio  di zucchero sul piattino delle frittelle, dolci, ma nemmeno troppo unte, chiacchero con Michael, mi racconta che la sua ragazza e’ in Uganda e andra’ a trovarla ad inizio Ottobre, concordiamo le ferie, anch’io devo andare a trovare la mia, qualche centinaio di chilometri piu’ a sud e qualche settimana dopo. Michael mi piace, e’ sveglio e lavoratore, mi trovo bene a lavorare insieme a lui, e’ piu’ maturo della sua eta’, classe 1989.
Una bimba di circa 10 anni ci porta il the, poi torna ad accovaccarsi per terra, sta pestando le spezie che aromatizzeranno il caffe’ che sua mamma sta arrostendo sul fuoco di carbonella, l’odore pungente del caffe’penetra prepotentemente nelle narici, punge quasi, svegliando i pigri neuroni della domenica mattina. La signora del caffe’ veste di viola, un vestito lucido e dalle tinte forti, un viola acceso con ricami neri, il volto altrettanto nero, come il caffe’ che sta tostando, il sorriso largo e aperto, come i cieli d’Africa, una fascia viola in testa fatta della stessa stoffa del vestito. Blu, come il telo di plastica che copre mezza della parete che ho di fronte, marroncino come i pezzi di cartone che sporgono dal soffitto di canne, giallo come I vestiti di due ragazze che si alzano e se ne vanno. L’ essenzialita’ del posto e’ rilassante, vera, umana, calda e accogliente. La capannina del caffe’ e’ in realta’ un mini-supermercato, all’entrata il cibo, le frittelle, a sinistra il “negozietto”, una vetrina di 4 ripiani fornita di zucchero (ovviamente), sigarette keniane, benzina, olio motore, forbici di plastica colorate dalla Cina, biscotti, ovviamente i Glucose, prodotti a Dubai con ingredienti di dubbia provenienza ma presenti ovunque in Africa, almeno tanto quanto Pepsi e Coca-Cola, le imprese avvelenatrici di falde acquifere e diritti umani e sindacali che arrivano ovunque. Annuso lo zenzero che la bambina sta ora pestando e ordino un caffe’, sono curioso di assaggiarlo, senza zucchero, specifico questa volta, arriva ed e’ buonissimo, chiedo anche un altro bicchiere, vuoto, per raffreddarlo, come al solito non riesco a bere le bevande troppo calde, chissa poi perche’, Michael ride…
Siedo e mi guardo intorno, fronti rugose, volti giovani segnati dalla fatica, dalla cattiva e carente alimentazione, e poi chi lo sa, dallo stress generato dalla lunga lotta per l’indipendenza di questo paese che sta avviandosi a compire i suoi primi passi ma che ancora fa fatica a reggersi in piedi, sotto il vento di poteri piu’ forti e piu grandi. Mi sento in pace ed accolto, come in quel chiosco di Bhopal dove ho mangiato dei gustosissimi falafel nel quartiere musulmano, come in quel ristorante di strada dove ho mangiato dei saporitissimi spiedini con padre Natale e Dario, come da babu a mangiare uroyo, kachori e sorseggiando infuso di zenzero, un respiro  di umanita’ che riempie gli occhi di calore, accoglienza e felicita’. E ora sono qui, sotto un’acacia a scrivere su carta i miei pensieri sparsi come non mi succedeva da tempo, ma l’assenza di elettricita’, di benzina per il generatore e le poche batterie del mio computer mi hanno spinto a riapprezzare il piacere di disegnare parole blu su sfondo bianco, il negativo del cielo sopra di me, questa immensa cupola azzurra con disegni bianchi che sono immagini e parole, che sono passeggere ma sempre presenti, che sono sogni e speranze.

Stefano Battain, ex volontario CVM, ora in Sud Sudan