1 Dicembre 2011 – Giornata Mondiale contro l’AIDS – dal 1988
si celebra la giornata contro una delle maggiori epidemie diffuse al mondo d’oggi,
non solo nei paesi del Sud del mondo ma anche nel Nord, come testimoniano le
percentuali in costante crescita, in particolar modo tra i giovani.
In Tanzania, sono proprio i ragazzi a costituire una delle
fasce maggiormente esposte al contagio; diverse le cause: mancanza di
educazione, disinformazione, scarse prospettive economiche una volta finita la scuola e di conseguenza limitata possibilità
di proteggere se stessi e i propri diritti, in particolare per le ragazze.
In occasione del World AIDS Day, numerose iniziative sono
state organizzate nel Distretto di Bagamoyo per dare coraggio alle persone
sieropositive che c’è ancora un futuro che li attende nonostante la malattia e
per sensibilizzare la popolazione in generale sull’importanza di sottoporsi al
test, conoscere lo status della propria salute e di non abbattersi di fronte
all’AIDS perché non è motivo di vergogna e non è la fine della propria vita. Ad
affermarlo le autorità del Distretto, della Ward, i rappresentati dell’associazione
di persone sieropositive di Distretto, i bambini della scuola primaria, i
gruppi artistici locali intervenuti durante la manifestazione organizzata a
Talawanda, piccolo villaggio nell’ interno del Distretto quest’anno selezionato
per la celebrazione del WAD a livello di Distretto.
Belle parole queste, ma ancora di difficile comprensione per
la maggior parte della popolazione, povera, analfabeta, per cui l’unica
aspirazione principale è conquistare un piatto di riso e fagioli a fine
giornata. E poi lo stigma contro l’AIDS, ancora molto diffuso nelle comunità
rurali, di certo non facilita la diffusione di informazioni: essere
sieropositivo ha ancora un significato negativo, significa avere la vita
rovinata, non avere speranza, significa morire. E questo è confermato dal fatto
che alcuni villaggi non hanno dati ufficiali sul numero di persone che vivono
con l’HIV, non di certo perché non ce ne siamo, quanto perché si nascondono, si
vergognano della malattia e preferiscono viverla in segreto.
La malattia può
essere ancora motivo di abbandono da parte del proprio partner, da parte della
propria famiglia, emarginazione da parte delle comunità in cui si vive. E per
chi non ha le risorse economiche per pagarsi il trasporto per raggiungere il
Centro di Salute più vicino o per chi vive in zone tanto isolate che
raggiungere il dispensario più vicino significa camminare per metà o l’intera
giornata, le prospettive di vita di riducono a zero.
Le persone che fanno parte dell’associazione di
sieropositivi nata a livello di distretto nel 2006, sono per la maggior parte
persone povere, che hanno avuto il coraggio di affrontare la malattia
apertamente perché senza altre alternative, l’unica scelta possibile era vivere
o lasciarsi andare. In questi mesi ho avuto occasione di collaborare con alcuni
membri dell’associazione per la stesura di un progetto a loro favore, come
parte del supporto che il CVM offre alle associazioni locali per crescere,
potenziare le proprie capacità e rendersi economicamente indipendenti. E quello
che mi ha stupito di più è la grande speranza che ripongono nel loro futuro, la
forza di credere nell’ ‘insieme ce la possiamo fare’, nonostante le difficoltà,
tra tutte la mancanza di educazione, di capacità specifiche e sufficienti
risorse economiche per fornire un supporto concreto alle persone malate.
Ora tutti insieme costituiscono testimonianza vivente di
speranza, dell’esistenza di una vita normale oltre la malattia.
E sono ancora gli ultimi, i marginalizzati, i più poveri che
forniscono le più grandi lezioni di vita.
Uno tra tanti, Ally Mzee, 45 anni, vive a Saadani ed è
sieropositivo. Ha contratto il virus attraverso la sua partner che non gli ha
detto di essere affetta se non dopo aver visto i primi segni della sua
malattia. Dopo un periodo di confusione, in cui aveva deciso di lasciarsi
andare perché privo di speranze e in cui ha iniziato a vendere tutti i suoi
beni perché senza risorse economiche, ha ritrovato la forza di tornare a vivere
grazie ai figli che lo hanno aiutato moralmente ed economicamente. Ora è
tornato a fare il pescatore, lavoro pesante ma che riesce a svolgere grazie al
trattamento antiretrovirale.
Vive serenamente la malattia, non si cura dello
stigma che la comunità ancora manifesta contro le persone sieropositive e cerca
di sensibilizzare i suoi colleghi di lavoro sui rischi e le conseguenze del
virus. In questo momento in cui i grandi donatori, tra tutti il
Fondo Mondiale per la Lotta contro l’AIDS, congelano i fondi a causa della
crisi economica, è tremendamente importante unirsi a loro nella lotta contro
questa malattia, affinché donne, bambini, uomini già affetti o in pericolo di
contagio possano tornare ad avere una vita dignitosa.
Valentina Romagnoletti (Volontaria CVM - Tanzania)
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