Sono all’incirca 500 i ragazzini che si muovono per le strade di Arusha sviluppando ogni giorno nuove strategie di sopravvivenza, che spesso li conducono ad attività criminali, all’utilizzo di droghe o più in generale ad attività a rischio, aumentando le loro possibilità di contrarre l’HIV. Li caratterizzano storie diverse, ma con aspetti tristemente comuni: povertà, abusi, perdita di famigliari. Vivono alla giornata con l’unico obiettivo di trovare del cibo ed un luogo in cui poter dormire indisturbati. Obiettivo facilmente raggiunto grazie all’elemosina dei passanti, spesso turisti occidentali, che credono di fare del bene lasciando cadere qualche scellino nelle loro mani, ma che sono fortemente criticati dalle varie organizzazione che operano nel tentativo di garantire ai ragazzini una sorte migliore. La facilità nell’ottenere il minimo indispensabile per sopravvivere di giorno in giorno fa infatti sì che accettino la loro condizione, senza cercare soluzioni migliori o farsi aiutare dalle organizzazioni presenti sul territorio, per cambiare il proprio destino.
Baraka è tra i più grandi dei ragazzini ospitati dalla fondazione e mi accoglie con un sorriso, prendendomi per mano: mi mostrerà il luogo in cui vive e dal quale spera di poter uscire con qualche opportunità in più di quando vi è entrato. Qui, infatti, in quello che mi presenta come Vocational Training Center, ha la possibilità di studiare ed imparare un mestiere, ma anche la garanzia che l’organizzazione lo aiuterà a trovare un lavoro alla fine dei tre anni previsti di presenza all’interno del centro. Gli studenti frequentano quattro ore di lezione ogni mattina e sono divisi per classi in base al loro livello di conoscenza. La maggior parte assiste a lezioni che corrispondono a quelle che si tengono alle scuole elementari tanzaniane (Standard Seven) e ha, in seguito, la possibilità di sostenere l’esame finale riconosciuto a livello statale. Alcuni, i più bravi, si preparano per frequentare la scuola secondaria (Form I – Form IV), che frequenteranno in un secondo momento in una scuola pubblica auto-sostenendosi e le cui tasse vengono coperte dal centro. Passiamo davanti alle classi dialogando in quello che si potrebbe definire un ottimo “Kisenglish” (il suo Inglese è molto meglio del mio swahili ed è fiero nel sottolineare che l’ha imparato studiando proprio in queste classi).
Durante il pomeriggio, tutti i ragazzi sono impegnati in attività pratiche, seguiti da insegnanti che li introducono ai più svariati mestieri. Passeggiando nella proprietà della fondazione, che in tutto copre
Non è un caso se ci siamo fermati proprio davanti alla cucina, perché diversamente dalla maggior parte dei ragazzini del centro che vogliono diventare falegnami o elettricisti o muratori, il sogno di Baraka è di diventare un bravo cuoco. La sua priorità è trovare un lavoro ad Arusha per aiutare la madre, che nel frattempo è stata abbandonata dal marito, ed i fratellini che vivono tuttora in condizioni di povertà. Allo stesso tempo, però, dalle sue parole emerge il desiderio di proseguire gli studi, concludere il livello Form IV, consapevole che in Tanzania solo con un buon titolo di studio si ha accesso a professioni ben remunerate. Anche se il centro gli pagasse le tasse scolastiche, egli non sarebbe però in grado di mantenersi perché, diversamente da altri compagni di scuola, la sua famiglia non è in grado di aiutarlo in alcun modo.
La situazione di Baraka è simile a quella di altri bambini e bambine in tutta
A questo si aggiunge un sistema scolastico spesso inadeguato. Se verso la fine degli anni ‘70, grazie ad un notevole impegno politico ed alcune buone riforme,
Baraka è certamente vittima di questo sistema, ma è comunque più fortunato di altri bambini o ragazzi, perché alla fine dei suoi tre anni all’interno del centro potrà contare sulle competenze acquisite e poter trovare facilmente un lavoro.
Volontaria in Servizio Civile, Tanzania