giovedì 13 novembre 2014

Raccontare Storie

Quando a inizio Settembre ho lasciato Bagamoyo per trascorrere qualche giorno a casa, mi sono trovata nella difficile situazione di raccontare a parenti ed amici quello che questi sei mesi in Tanzania hanno rappresentato per me. Ho sempre trovato difficile raccontare a terzi pezzi di viaggi, esperienze, storie sentite e persone incontrate. Alla luce di questo, al ritorno dopo ogni periodo passato lontano da casa, ho sempre atteso con un certo timore il momento in cui parenti ed amici avrebbero iniziato con  le domande di routine “Com’è andata?”, “Ma ti è piaciuto?”, “Cosa hai fatto?”, “Come ti sei trovata?”, “Cos’hai imparato?”.  Dopo anni di esperienza, posso dire con un certo orgoglio di aver ormai sviluppato tecniche di risposta tali da permettermi di condividere quello che io definisco “il giusto necessario”, ovvero quanto basta per dare qualche informazione ma allo stesso tempo trattenere per me il cuore dell’esperienza appena vissuta.
Di conseguenza, quando sono salita sul volo diretto a Milano Malpensa, avevo la consapevolezza che da lì a qualche ora, mi sarei trovata a dover raccontare i mesi trascorsi a Bagamoyo e che difficilmente i miei amici e la mia famiglia si sarebbero accontentati di qualche elusiva informazione perché, si sa, sei mesi in Africa sono qualcosa che stuzzica la curiosità delle persone.
Sorprendentemente, tuttavia, una volta giunta a casa qualcosa di nuovo è accaduto: per la prima volta ho provato il desiderio di condividere la mia esperienza. Ho raccontato a ruota libera i diversi aspetti della mia vita qui, dalla quotidianità a Bagamoyo, a quella in villaggio, dal lavoro in ufficio, alle attività durante le visite di monitoraggio nei villaggi del distretto di Bagamoyo, dai momenti di ilarità a quelli di sconforto e rabbia, perché se è vero che ci sono i primi è anche vero che le storie di vita che ascolti ti restano dentro come macigni e non hai altra scelta se non quella di diventarne testimone e di condividere con altri quella sofferenza per renderli consapevoli, per denunciare.
Mi sono così trovata a raccontare di quando, una mattina, durante un incontro nel villaggio di Msoga con il Education Committe locale, ovvero i gruppi di volontari che a livello di villaggio hanno il compito di sensibilizzare le famiglie in riferimento all’importanza dell’educazione dei bambini, io e Peacy, la facilitatrice di CVM alla quale sono affiancata, ci siamo trovate a fare visita a una famiglia dove era stato denunciato un caso di maltrattamento. Nello specifico, il caso riguardava un bambino, con handicap mentali fin dalla nascita, al quale non solo era negato il diritto all’istruzione, ma che era solito passare giornate legato ad un palo fuori casa e il cui stato fisico faceva sorgere molti dubbi anche sul suo stato di salute, mostrando evidenti segni di malnutrizione.
Oppure ho raccontato delle ragazze che fanno parte di Muungano, l’associazione di barworkers di cui CVM sta sostenendo la nascita nelle Wards di Bagamoyo. Ho raccontato di quanto sia difficile per queste donne, spesso solo ragazze, parlare di diritti in una realtà in cui non esistono contratti di lavoro, ferie o orari di lavoro precisi, in cui la paga è misera e in cui essere cameriere spesso significa dover vendere anche il proprio corpo ai clienti.
Ho raccontato le tante cose belle che questa esperienza mi sta donando, ma anche la concretezza che assume l’assenza di diritti per alcuni, i più deboli e vulnerabili.




Giulia Letizia Spezzani
Volontaria Servizio Civile Tanzania