mercoledì 5 dicembre 2012


UNITY, BERE ACQUA AVVELENATA PER NON MORIRE DI SETE





Il camino fuma in lontananza, “hanno fatto ripartire la produzione di petrolio”, sostiene laconico Afayo: piccolo, magro, spalle larghe, capelli rasati a zero come la maggior parte dei sudsudanesi, viene dal sud Afayo e ha molti caratteri in comune con gli africani che già conosco, parlando in inglese usa frasi come: “Mangerò il Natale a Bentiu” per dire “Trascorrerò il Natale a Bentiu” oppure usa la parola “dolce” per riferirsi a qualsiasi cosa saporita, anche fra quella salate: quell’animale (una specie di faraona selvatica) è piu dolce del pollo”, un uso molto strano per noi italiani. Afayo ha lo sguardo timido, spesso abbassa la testa quando gli si pone una domanda, parla poco e mai a caso, a volte quando non vuole dire le cose si morde le grandi e larghe labbra carnose, ha una bocca larga ma la usa poco, in compenso sorride molto, sorride spesso. Quella bocca la ricorderò per sempre, dopo aver trascorso una domenica sera ad illuminarla con la luce del mio telefonino (la luce sul telefonino ha cambiato la vita di chi vive in Africa) mentre un dottore ugandese gli strappava un dente cariato. Afayo è uno degli autisti della nostra organizzazione, avrà 25 anni ma è un ragazzo calmo, posato e responsabile, non beve e guida a velocità moderata, sempre, non suona troppo il clacson, qualità rara qui, non insulta passanti distratti, bimbi giocosi e lenti vecchi cenciosi che pullulano sulle polverose strade del Sud Sudan. Afayo è una brava persona ed è facile lavorare con lui, mi piace davvero molto e quando viaggiamo insieme è bello fare una chiacchierata con lui.




Sono in Sud Sudan da 4 mesi ormai, ma se penso ai miei primi e ormai già lontani ricordi mi sembra di aver vissuto in due paesi completamente diversi. Sono arrivato che le pianure del Sud Sudan settentrionale erano una distesa di smeraldo peloso, una coperta verde di erba alta punteggiata da alberi verdi e rigogliosi, tanti acquitrini, vaste pianure allagate a perdita d’occhio, il fango era il compagno delle mie giornate. Nei campi profughi regnava il fango, mescolato alle tracce biologiche dell’esistenza di questi esseri umani fuggiti dalle montagne Nuba. sulle montagne si spara, e queste anime disperate sono finite nel fango di Pariang a tirare avanti mangiando polenta di sorgo e lenticchie, ricevute una volta al mese dall’Altro Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sulle montagne Nuba si continua a sparare e la gente continua a fuggire, circa 2,000 a settimana passano il confine ma qui il fango si è asciugato ed è diventato rossa terra polverosa che il vento di fine novembre alza e porta, sulla pelle, negli occhi, fra I capelli e più lontano.
Ad Addis Abeba i pasciuti politici di Juba e Khartoum hanno firmato scartoffie simbolicamente importanti ma che difficilmente risolveranno una delle questioni più complesse dell’attuale situazione geo-politica internazionale. La creazione dello Stato del Sud Sudan ha creato almeno altrettanti problemi di quanti non ne abbia risolti: incertezza sui confini e molti territori contestati, traffici commerciali bloccati con pesanti conseguenze sulla sicurezza alimentare ed il costo della vita per gli Stati del Sud Sudan settentrionale legati a doppio filo a Khartoum, tensioni fra i due eserciti alle prese con la guerriglia del Darfur, delle montagne Nuba e dello Stato del Nilo Blu, tutti situati in Sudan ma al confine col Sud Sudan, tutti alleati contro Khartoum e ora saldati in un Fronte Nazionale, segretamente ma poi neanche tanto, appoggiato dal governo Sud Sudanese. Ma il fattore di gran lunga più importante della contesa è la maledizione nera, chiamato anche, ingannevolmente, “oro nero”.





Lo Stato di Unity (cioè Unità) galleggia letteralmente sul petrolio, niente a che vedere con gli immensi giacimenti petroliferi dell’ Iran, dell’Iraq, della Nigeria o del Venezuela ma pur sempre importanti riserve di petrolio. Il  territorio è piatto, appoggiato sui detriti millenari del serpeggiante e maestoso Nilo bianco e ricoperto di una spessa vegetazione secca e giallastra, almeno in questo periodo dell’anno. Questa non è l’Africa da cartolina, non è l’ Africa di turisti con cappelli ridicoli e vestiti come David Livingstone e nemmeno l’Africa delle spiagge bianche con le mucche e le donne avvolte da vestiti colorati, questa è l’arida terra dei falchi e a giudicare dal numero di falchi, anche la terra delle vipere e dei serpenti. Un ambiente duro, secco, primitivo, dove ogni goccia d’acqua è preziosa e i falchi la fanno da padroni. In mezzo a questa campagna dura ed incontaminata ci sono stormi di uccelli bellissimi, gialli, in stormi di alcune centinaia che volano di campo in campo a mangiare il sorgo dei poveri contadini, oppure rossi, come il sangue versato durante le battaglie combattute da secoli fra Dinka e Nuer, tribù sorelle impegnate da sempre in una eterna ed infinita lotta all’ultima mucca. Le mucche sì, talmente importanti e rispettate che l’impostazione culturale dinka impone alle donne di starne lontane dalla cura delle mucche, troppo importanti perché se ne occupino degli essere “deboli ed inaffidabili” come le donne. L’unica cosa che le donne possono fare con le mucche è mungerle, per tutto il resto l’uomo la fa da padrone e decide, e spesso è l’unica cosa che fa. L’uomo solitamente delega alle donne tutto il resto: il compito di crescere i bambini e le bambine, sfamarli, lavarli, educarli e pensare a tutto ciò che serve per la casa dalla legna all’acqua, dall’agricoltura al piccolo commercio. Dinka e Nuer popoli guerrieri e fieri, dall’orgoglio feroce, impulsive, distruttivo e autodistruttivo, un orgoglio che si riflette nella vita di tutti I giorni con conseguenze violente in una terra dove sopravvive solo il più forte. Basta guardarli in faccia i Dinka e I Nuer, sguardi severi, volti spigolosi, fronti basse, rigate per lungo da cicatrici rituali che affondano le radici in una storia senza tempo, profondità e memoria.
La piatta pianura intatta e selvaggia è stuprata da oasi di modernità volgare, dietro una curva compare un mastodontico deposito di petrolio, appena fuori un villaggio di fango e malaria ecco le tubature dell’ oleodotto che porta questo veleno nero a Port Sudan. E allora forse si capisce perché questa zona di confine sia cosi importante ed ambita. Ecco che forse si spiegano le lunghe colonne di auto con mitragliatori, mortai e cannoni di gruppi ribelli in sfilata in pieno giorno, braccia di menti fredde e corrotte che siedono a pancia piena dietro agli scranni dei parlamenti nazionali. Sulle montagne Nuba si uccide e si è uccisi, si fugge dalle bombe la vera partita si gioca altrove: Juba, Khartoum, Washington, Pechino, Bruxelles. I falchi , I corvi e gli avvoltoi che giocano sulla pelle dei sudanesi, giovani e vecchi, Dinka o Nuer non importa, tutti fili d’erba della battaglia fra elefanti malati che combattono per un mondo sempre più a rischio.
Basta guardarsi attorno mentre si percorrono le polverose piste di polvere di Unity per capire perché il 100% dei pozzi d’acqua della contea di Koch sono gravemente contaminate e l’acqua non adatta per il consumo umano. Pozzi avvelenati da metalli pesanti che staranno nella terra argillosa, dura e secca per secoli, souvenir ai posteri di una maledizione nera che prima o poi finirà. E le ONG che fanno? Al momento raccomandano che è meglio berla quell’acqua inquinata piuttosto che morire di sete, pensiero freddo, razionale e sensato ma terribilmente triste ed ingiusto. Cosi si chiude la riunione delle ONG, un grido di rabbia e disperazione mi si soffoca in gola, in fondo non ci si può far niente, per ora…

Stefano Battain, 
ex volontario CVM, ora in Sud Sudan



lunedì 3 dicembre 2012

"In Etiopia niente è scontato". Un arrivo tra sorrisi, colori e ...scarafaggi!


27 Novembre 2012

Eccomi atterrata ad Addis Abeba, con un'ora di ritardo accumulato già prima di partire a causa di qualche guasto che ha provocato un black out nell'abitacolo dell'aereo. La partenza, quindi, non è stata molto rilassante, ma poco dopo il decollo mi sono rilassata al punto che non ho sentito il trambusto che all'una e mezza di notte le hostess stavano facendo per servire la cena!!!! Ma siccome la fame c'era ed era tanta mi sono gustata una cenetta, piccante, prima di ricadere nelle braccia di Morfeo.
Abbandonato Morfeo, il mio viso è stato illuminato da una luce arancione che emergeva dall'oscurità della notte, di quella che può esistere solo al di sopra delle nuvole, dove ero io, appunto.
Un'accogliente alba calda mi ha accompagnato fino a Bole Airport, l'aeroporto di Addis! Questo viaggio verso il Nuovo è stato un piacevole levitare verso l'alto in compagnia di una forte emozione che mi impediva di comprendere fino in fondo i veri sentimenti che stavo provando. Alla domanda “come ti senti?” ho saputo sempre e solo rispondere “strana”. In effetti così mi sentivo, strana: riuscivo ad immaginare solo fino al momento dell'imbarco, oltre la mia mente non riusciva ad arrivare. Come se il mondo, la mia vita, finisse una volta salita a bordo dell'aereo che mi avrebbe portato ad Addis. E se ci rifletto ne comprendo il motivo. Sono a una svolta, ho lasciato quanto conosco per andare incontro a quanto ancora non conosco. Mi sono svuotata per riempirmi, per ricevere. E' cresciuta in me una forte curiosità, la sana curiosità che permette all'animo di esplorare, scoprire e rendere proprio.
Una volta atterrata e sbrigate le pratiche burocratiche del visto, ovvero solo la verifica in quanto sul passaporto avevo già il Business Visa valido per 3 mesi, mi sono ritrovata davanti Antonella e Valentina, le due ragazze volontarie del CVM che vivono ad Addis. Fino ad ora ho omesso, volutamente, un importante elemento: non ho viaggiato sola. Ritengo sia importante precisarlo perché affrontare il viaggio di transizione con una persona che vivrà la tua stessa, no stessa no, simile, ecco sì simile esperienza possa essere di sostegno!
Il motivo per cui fino a questo momento non ho citato Giulia, la ragazza che ha viaggiato con me appunto, è dovuto all'emotività: le emozioni sono solo esclusivamente personali. Ho preferito lasciare correre liberamente il pensiero seguendo le emozioni che ho provato durante il viaggio. Comunque, all'aeroporto Antonella e Valentina, come stavo scrivendo, sono venute a prenderci con l'auto.
La prima cosa che ho notato, da subito, è la dimestichezza con cui le due ragazze che ormai vivono ad Addis da un anno interagiscono con le persone locali e soprattutto con il traffico!! A vedere il caos ordinato che avvolge tutte le strade è sorprendente. Tante auto, poche regole rispettate, ma poco clacson e molta calma. Un caos ordinato, appunto!
Dopo aver consumato una buona colazione in un bar fidato (dove anche i farengi -i bianchi senza distinzione di genere né di razza- possono consumare senza preoccupazioni di “attacchi” vari al proprio intestino) abbiamo fatto un passaggio veloce all'ufficio del CVM, in cui abbiamo conosciuto le persone dello staff locale (di cui ahimè ho difficoltà, molta, a ricordare i nomi) e abbiamo visto le nostre future postazioni per questi prossimi quindici giorni, per quanto riguarda me, e per i prossimi trenta giorni, per quanto riguarda Giulia.
Lungo la strada, la stradina sterrata che collega la “via” dell'ufficio del CVM alla strada principale (un lungo viale, asfaltato e caotico), Antonella si è fermata davanti una botteguccia in legno per comprare le ricariche per le schede sim appena consegnateci dalla segretaria del CVM. Non mi è ancora chiaro quanto costi la vita ad Addis, ma dal poco che ho potuto vedere non penso molto: esistono ricariche da poco più di 1 €.
E' evidente che la mia ultima affermazione è ancora molto legata a un confronto con il mio Paese di origine. Per me 1 € può avere poco valore, per il costo della vita in Etiopia non lo so ancora,ma potrebbe essere paragonabile alle nostre ricariche da 10 €. Ritengo che questi aspetti all'inizio uno li noti in rapporto al costo della vita nel proprio Paese, in seguito, penso che uno cominci a fare i calcoli non più rapportandosi al costo della vita nel proprio Paese, bensì al costo della vita nel Paese in cui risiede. Così, potrebbe anche scoprire che se non percepisce caro il costo della vita, questo può esserlo per una persona locale che vive e lavora da sempre in quel Paese.
Arrivate a casa, dopo aver percorso un paio di viali asfaltati e caotici attraverso i quali, per farsi strada, Antonella sfoggiava all'occorrenza un bel sorriso e un gesto elegante con il braccio fuori dal finestrino e dopo aver percorso una stradina in pendenza non sterrata ma “acciottolata” (i ciottoli sono pietre enormi sconnesse fra loro), siamo state accolte da un bel balcone “vista Addis”.
Il mio pomeriggio è trascorso disfacendo le valigie, selezionando i vestiti che terrò per Addis, provare a riempire il piccolo borsone di scorta solo con i vestiti che metterò in questi quindici giorni ad Addis e a rifare la altre due valigie. Ero veramente stanca, il letto mi chiamava, mi proponeva di sdraiarmi e abbandonarmi in un bel sonno ristoratore. Giulia aveva ascoltato il letto, io fino a quando non avessi finito il travaso delle tre valigie non avrei potuto. Il travaso è stato molto utile: fra circa quindici giorni prenderò l'autobus di linea che mi porterà a Debre Markos. Impensabile e impossibile prenderlo con 2 valigie da venti-tre chili l'una! In mattinata all'ufficio ho conosciuto Geremow, il referente e responsabile dello staff di Debre Markos, con cui collaborerò molto nei prossimi mesi, il quale mi ha proposto di lasciargli il bagaglio più pesante che avrebbe portato lui a Debre Markos rientrando il giorno dopo. Perfetto: disfatto, rifatto e fatto valigie!
Alle 14,30 locali, siamo arrivate alle ore 8 con cena ancora sullo stomaco, mi sono fatta una bella doccia ristoratrice per poter uscire. Non avevo però fatto i conti con la stanchezza: appena rientrata nella camera dopo la doccia, il letto ha cominciato a invitarmi in modo insistente e io, questa volta, ho deciso di accettare l'invito. Morfeo mi ha avvolto in un morbido abbraccio per circa tre ore.
Una volta svegliata ho incontrato Giulia che era già in piedi da un'oretta circa: abbiamo deciso di andare incontro ad Antonella che rientrava dall'ufficio a piedi. Affacciandomi dalla porta di ingresso ho notato che ormai il sole era definitivamente calato e la notte aveva preso il sopravvento. Erano solo le 18! Abbiamo percorso il proseguimento della stradina dell'andata che risulta in parte acciottolata, sempre con sassi grandi sconnessi, e in parte sterrata. Cerchiamo di identificare Antonella fra i corpi che incrociamo. Forse sarebbe meglio dire fra le sagome dei corpi che incrociamo, solo quello riusciamo a vedere: delle sagome scure avvolte nel buio. Finalmente siamo giunte alla strada principale, uno dei viali asfaltati e caotici. Abbiamo aspettato per circa mezz'oretta sull'incrocio della stradina con il viale circondate da tante figure scure, per la pelle e per il buio della sera, che salgono e scendono dai vari pulmini che accostano qualche istante a una fermata a noi sconosciuta e “invisibile”, non indicata ma da tutti conosciuta.
Abbiamo intravisto Antonella giungere con passo rilassato e a proprio agio. In quel momento ho pensato che è proprio così che voglio godermi Addis e le altre cittadine in cui mi troverò a vivere, proprio così: rilassata e libera di percorrere le strade. Al momento questa sensazione non la provo ancora e questo mi dispiace e mi sconforta. In un attimo però penso: sono qui da ieri, ovvero quello che sto raccontando l'ho appena vissuto, come potrei sentirmi a mio agio e rilassata in una città come Addis se non la conosco? Quindi la fiducia mi riempe di nuovo!
Con Antonella abbiamo ripercorso la strada che avevamo percorso in macchina la mattina e ci siamo fermate in una botteguccia in legno e lamiera che vende del buon pane: anche in questo caso pane fidato! In effetti, buono e senza effetti collaterali. Lungo la strada Antonella ci informa che è meglio evitare di percorrerla la sera, al buio, insomma la notte, e questo non solo per una generale precauzione ma anche per evitare di incontrare le iene: la casa si trova in una zona verde dove risiedono alcune iene. Lei stessa una sera ne ha vista una, piccina. Questo particolare è stato registrato dalla mia mente: non ho voglia di correre incontro al pericolo!
La zona in cui è ubicata la casa è su una piccola collinetta e per raggiungerla si percorre una stradina acciottolata al cui inizio si trovano le bottegucce in legno-lamiera che vendono di tutto un po' (in realtà devo ancora capire cosa vendono, per ora ho scoperto solo quella del pane) che poco dopo lasciano lo spazio a una serie di muri con alto filo spianto arrotolato in cima e portoni a intervalli irregolari. All'interno dei portoni si trovano le varie case: diverse case basse che hanno un unico accesso alla strada, il portone appunto. Anche la nostra casa si trova all'interno di un piccolo agglomerato, compound. La nostra è la prima e, forse, per questo gode di una vista piacevole: Addis.
Una mezz'oretta dopo il nostro arrivo a casa, ci ha raggiunte anche Valentina. Abbiamo cenato con una buona pasta al pesto di marca italiana e alle 21,30 eravamo già a letto.
La prima giornata e la prima notte ad Addis sono trascorse velocemente.

28 Novembre 2012

La notte è trascorsa serena, illuminata dalla bianca luce della luna piena. La paura delle pulci ha suggestionato a tal punto la mia mente che sentivo tanti insettini punzecchiarmi: mi grattavo di continuo. Finalmente ho capito che era tutto solo frutto della mia mente: non c'era nulla nel letto. Mi sono addormentata serenamente, per svegliarmi di colpo per una perdita di sangue dal naso: normale, l'altitudine (2355 mt, non raggiunti salendo piano piano ma arrivando dal cielo, quindi direttamente dall'alto senza dare modo al fisico di abituarsi all'alta pressione).
Al mattino abbiamo fatto una buona colazione con pane&nutella e poi in macchina abbiamo raggiunto l'ufficio. Io e Giulia ci siamo sistemate alle nostre nuove e momentanee postazioni e, acceso il pc, ci siamo messe subito ad analizzare i vari file, ognuna per i propri progetti. Quanti file! Tantissimi file! La mia domanda ricorrente è: come si fa a gestire una tale quantità di dati se i dati fra loro a prima vista sembrano incomparabili e, soprattutto, se più persone ci mettono mano? Una risposta ancora non è giunta. Penso di averne compreso il motivo: non c'è modo! Infatti il mio ruolo è proprio quello di creare un archivio unico, con tutti i file completi, con dati coerenti e in ordine. OHPS!
A pranzo siamo andate in un ristorantino-caffè dove io e Giulia abbiamo ordinato una ndjera (acida, quella vera) con una salsa calda di ceci poco piccante. Il sapore mi è piaciuto, ma per i miei gusti pranzare solo con quella diventa impegnativo per lo stomaco: appena rientrata in ufficio lo stomaco mi si è gonfiato uno sproposito. Il sapore della salsa mista all'acido della ndjera è sparito solo dopo aver cenato. Oggi a pranzo mangerò qualcosa di meno “penetrante”, spero.
La permanenza ad Addis è fondamentale per un buon ambientamento. Necessario! Specifico l'utilizzo di questo ultimo termine perché rientrando a casa a piedi (saremo uscite che erano le 18,30 ma era buio come fossero almeno le 22,30 ) ci siamo fermate in diverse bottegucce per fare la spesa. Utilissimo vedere come si fa la spesa e come bisogna fare per non essere prese in giro solo perché farengi. Non esistono, chiaramente, supermercati: sono tutte bottegucce lungo il marciapiede (pane, verdura, frutta, drogheria – che vende di tutto un po' come ricariche telefoniche, shampoo, integratori, rotoli singoli di carta igienica, olio, etc). Abbiamo comprato il pane in un'altra botteguccia rispetto a quella della sera precedente. Questa si trova su un incrocio alquanto caotico. Ma non mi soffermo sulla descrizione della piccolissima botteguccia da cui si affaccia una bella ragazza con il capo velato in un bel “chador” zafferano (penso sia somala, la zona dell'ufficio è una zona a prevalenza somala), bensì segnalo che il pane era davvero molto molto buono, ma purtroppo non ci si può fidare solo del sapore e della freschezza: Valentina a cena ha preso una delle pagnotte invitanti (io avevo praticamente già finito la mia, senza soffermarmi molto sulla sua estetica) e nello spezzarla si è accorta di un piccolo scarafaggio semi secco incastrato nella crosta...è stato anche cotto!
Non è mia intenzione aprire una sezione dedicata a questi “begli” animaletti simpatici. Non ho ben capito se possa definirli proprio scarafaggi, sicuramente fanno parte della loro grande famiglia! In cucina ce ne sono un po': alcuni chef, altri aiuti cuoco e altri semplicemente camerieri. Questi sono i ruoli che gli abbiamo dato: sono ovunque. Sinceramente temevo di patirli di più, ma in realtà vedo che appena possono scappano. Comunque sono della specie piccola e rossiccia, non quella nera e grande. Non ne capisco il motivo, ma per ora non li patisco molto, forse perché sono in casa con altre tre persone. A Debre Markos sarò sola, li capirò quale sia la mia vera reazione, ma considerato che ci dovrò rimanere almeno un anno, sarà bene che la mia reazione non si discosti da quella avuta qui ad Addis!
Alle 21,30 circa Giulia e Valentina si sono messe in salone, chi a leggere un libro trovato in casa chi a lavorare al pc. Io e Antonella siamo andate a letto. Io non avevo sonno, ma condivido la camera con lei e non volevo poi disturbarla nell'andare a dormire. In realtà, però, quando mi sono messa sotto le coperte (avrò almeno 3 strati di coperte, che subito mi scaldano e vanno davvero bene, ma che durante la notte mi fanno svegliare dal caldo e mi fan finire il mio sonno ristoratore in canottiera – non avrei mai pensato di riuscire a dormire in canottiera , per via degli insetti, ma qui siamo ad Addis, no a Debre Matkos!), stavo scrivendo che quando mi sono messa sotto le coperte mi sono gustata per un momento il riverbero della bella luce bianca della luna piena che filtrava dalle tende ( non ci sono persiane) e, cullata da questo abbraccio lunare, mi sono addormentata quasi subito.

29 Novembre 2012

Ripercorre a ritroso nel tempo la giornata precedente alle volte diventa difficile. Può dipendere da più fattori: confusione dovuta all'ambientamento, estraneità ai fatti in quanto ancora estranea alla realtà, susseguirsi di eventi e sensazioni personali difficilmente condivisibili per iscritto.
È bene però sottolineare quanto sia utile fare questo percorso a ritroso, per memorizzare ogni aspetto della giornata, ogni incontro, ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo, ogni conversazione, ogni sensazione, bella e brutta. Tutto, memorizzare il TUTTO.
Anche ieri mattina dopo una ricca colazione (e qui apro una parentesi: sto mangiando tantissimo a causa di una dieta ricca di carboidrati; il pane è buonissimo, morbidissimo, sembra quasi una brioche!) abbiamo percorso a piedi i tre chilometri che separano la casa dall'ufficio. Quindi uscite di casa abbiamo percorso la stradina dissestata e sterrata, facendo il solito slalom fra i diversi ricordini dei diversi animali del circondario (capre, gatti, cani e iene) . Non siamo sole, siamo immerse in un fiume di donne, uomini, bambini e bambine che si accingono ad affrontare il giorno. E' molto piacevole la passeggiata, anzi la camminata: dovendo rispettare degli orari non ci si può permettere di passeggiare, ma camminare abbastanza veloci.
Incrociamo tante persone, tanti sguardi e tanti sorrisi. Alcune persone le incontriamo ogni volta che percorriamo la strada e Antonella le saluta dando loro la mano e pronunciando il saluto in amarico. A seguire, in coretto, io e Giulia ripetiamo il gesto e il saluto! Molte di quelle che salutiamo ogni giorno sono persone che hanno un negozietto o che semplicemente vendono qualcosa sul ciglio della strada. È sempre molto piacevole notare la radiosità dei sorrisi con cui queste persone accolgono chiunque. Quando quei sorrisi accolgono te, ti senti contagiato. La giornata inizia sempre così, con una bella lunga passeggiata circondata da persone indaffarate ma gioiose. Questa è una differenza che si nota immediatamente pensando alle strade delle nostre città.
Lungo tutto il percorso siamo accompagnate dal caos ordinato delle strade. All'inizio, ovvero solo tre giorni fa, avevo un po' di timore ad attraversare i viali considerato il caos che regna e la totale indifferenza nei confronti dei pedoni. Adesso mi sembra di aver capito quando cogliere il momento per attraversare e come attraversare (sempre un po' in diagonale è meglio, ti sposti in avanti e la macchina tarda un po' di più ad arrivare alla tua altezza).
Questa camminata di primo mattino è davvero ristoratrice. Respiri tanto inquinamento, davvero tanto poiché le macchine sicuramente non sono Euro 1 e tanto meno Euro 4 e le marmitte non sono sicuramente catalitiche. Quindi, polveroni neri e odore irrespirabile di gasolio e motore si mescola all'aria fresca mattutina. Ma, dicevo, è ristoratrice perché è piacevole ciò che i tuoi occhi vedono. E mi riferisco alle persone. La squallida sporcizia delle strade non sorprende. La vitalità delle persone, sorprende. Sorprende soprattutto un occhio “occidentale”.
Quanti bei bambini incontriamo, ognuno con la divisa della propria scuola. Con che passo spigliato e deciso si dirigono da soli, ancora molto piccoli, all'ingresso della propria scuola. Zainetto in spalla, per qualcuno, niente per qualcun altro, e quasi tutti con il baracchino per il pranzo. Un piccolo contenitore cilindrico di alluminio con dentro quanto può permettersi di dare il genitore al proprio figlio per il pasto.
La sensazione che ho provato la prima volta che ho percorso la strada per andare in ufficio è stata molto forte. Davvero molto forte. Ho provato un fortissimo desiderio di immergermi. Voglio immergermi completamente, impregnarmi della realtà che mi circonda, di questa nuova realtà, delle persone che la caratterizzano. Immergermi nei diversi odori che percepisco lungo i tre chilometri di strada, tanti e diversi fra loro: l'odore delle cucine dei ristoranti, penetrante, l'odore del mercato, fatto di gente, di cose e di animali, l'odore della strada, della sporcizia della strada e l'odore delle persone. Voglio immergermi nella lingua, nella musica..Ritengo che riuscire a immergersi pienamente sia sinonimo di comprendere e, alle volte, condividere.
Oggi non mi soffermo sul lavoro svolto in ufficio (anche perché ho ben poco da segnalare se non che ho dovuto fare tante fotocopie per aiutare Antonella ad archiviare molte ricevute di tanti mesi addietro...e oggi continueremo, effettivamente è un lungo lavoro), ma mi soffermo sugli incontri. Sì, sugli incontri che si fanno per strada o semplicemente nella pizzeria dove si va a gustare una buonissima pizza in cui il cameriere sbaglia l'ordinazione e noi un po' a malincuore decidiamo di non fargliela cambiare. Le volte che il cameriere si è scusato mi hanno sorpreso. Alla fine sul conto ha indicato il prezzo, più basso, della pizza che avremmo voluto mangiare. Anche in questo caso io e Giulia abbiamo appreso una nozione in più che oltre ad averci sorpreso ci ha fatto riflettere: gli errori dei camerieri li pagano i camerieri stessi. Avessimo ridato indietro la pizza, il cameriere avrebbe dovuto pagarla.
Mi voglio anche soffermare sul piacevole ambiente di un localino vicino all'ufficio con due- tre tavolini che offre degli squisiti spritz! Sì, spritz: avocado, mango, papaya e un frutto rosa mai sentito di cui non ricordo il nome, tutto pestato ( non frullato) e versato in un bicchiere enorme che si presenta come una creazione artistica di più strati colorati che fra loro si mescolano dando vita a forme diverse. Me lo sono davvero gustato temendo qualche effetto collaterale per noi farengi: nulla! Fantastico! L'abbiamo gustato in “compagnia” di un cliente che aveva ordinato un'altra decorazione artistica che ci ha incuriosito: con un bel sorriso e con una calma molto piacevole, il giovane ci ha illustrato il suo piatto, ovvero una colorata insalata fresca, molto molto invitante! Non era l'unico compagno con cui abbiamo gustato questo delizioso “frullato”. Infatti nel piccolo localino-negozietto (vende anche frutta, verdura acqua e biscotti) c'era una famiglia con due bambini piccolini di 4 anni circa, molto incuriositi dalla nostra presenza. Effettivamente fino ad oggi gli unici bianchi che ho visto siamo noi: nessuno nella zona della casa, nessuno per strada e nessuno nella zona dell'ufficio. Capisco, quindi, la curiosità di vedere delle ragazze farengi a gustare una colorata creazione artistica che già da sola attira la curiosità dei piccini, e non.
Mi voglio soffermare sugli incontri che si fanno per strada per chiedere informazioni su una scuola di amarico. La gentilezza delle persone e la sorpresa di quando capiscono, in un inglese per farengi e un amarico stentato di qualche parola imparata per la sopravvivenza quotidiana, l'intenzione di voler imparare la loro lingua. Una ragazza era così piacevolmente colpita che dopo averci dato qualche indicazione circa un cartello che indicava una scuola e su una scuola che lei conosceva, ma lontana, alla fine ci ha anche ringraziate. Ma eravamo noi a chiedere le informazioni, quindi noi a dover ringraziare!!! Semplicemente notare come le persone vogliano aiutarti, darti le informazioni che cerchi e, se non riescono loro, assistere a come coinvolgono altri passanti. Senza alcuna formalità, senza alcuna diffidenza. Ecco, questo mi fa' sorridere: il semplice notare i semplici gesti cui mi rendo conto di essere un po' disabituata, forse.
Oppure posso soffermarmi sulle manine piccole piccole di un bambino di circa tre anni che appena ci ha visto ci è venuto incontro per salutarci e darci la manina. Chiaramente con quei begli occhioni neri e quel sorriso disarmante. Presa la manina il piccolino stringe forte e si incammina con noi: il genitore sorridendo lo richiama a sé. Salutiamo il bambino con un grande ciao con la mano e un bel sorriso subito ricambiato.
Ancora potrei soffermarmi su quanto gli occhi vedono, che può sembrare loro strano vedere in una città, specialmente in una capitale. Come un signore che in bici trasporta sulle spalle intorno al collo una capra viva che gli si aggrappa serenamente con le zampe. Scena che abbiamo trovato comica e ci ha fatto ridere per la naturalezza con cui era vissuta, da entrambi.
Io e Giulia abbiamo notato che ci sono diverse capre nella nostra zona. L'arcano è stato scoperto: risiediamo nella zona del mercato delle capre! Questo spiega perché stamattina un signore teneva per la zampa una capra nera, quasi trascinandola, che capeggiava un gruppetto di altre tre o quattro caprette che la seguivano trotterellando. Abbiamo trovato comica anche questa scena, soprattutto alle 7,30 del mattino quando tutte le persone si avviano verso le loro attività: chi in giacca e cravatta, chi con i tacchi alti e un vestito elegante, chi con la divisa della scuola che frequenta, chi con semplici vestiti, sempre gli stessi, usurati e sporchi, con qualche sacchetto in mano per andare al mercato a vendere uova, chi con pantaloni, felpa, sandali e occhiali da sole per percorrere i tre chilometri che le porteranno all'ufficio del CVM.
Mentre stavo preparando i bagagli a Torino mi sono ricordata che mi era stato consigliato, vivamente consigliato, di portare una torcia per il buio della sera. È una delle ultime cose che ho comprato. Non immaginavo quanto buio dovesse illuminare. Da me, in occidente, sono abituata ad avere la luce “a comando” e le strade ben illuminate. Anzi, quando una strada non è ben illuminata perché ha pochi lampioni è sempre bene non percorrerla, specialmente da sola. Ecco, qui ad Addis Abeba, ribadisco qui in Capitale, la luce non è mai data per scontata. Non va sempre “a comando” e, soprattutto, la sera, verso le 18, è bene avere con sé una torcia, una pila: le strade sono buie e illuminate solo dai fari delle macchine lungo i viali trafficati e dalla luce delle bottegucce lungo il marciapiede, in alternativa solo dalla benevole luce della luna piena (quando è piena). Nella zona dove risiediamo non ci sono luci. Ieri sera siamo rientrate verso le 19,30: senza la pila di Antonella sarebbe risultato davvero difficile capire dove mettere i piedi e guardarsi intorno. Una bella lezione a pochi giorni dall'arrivo l'ho imparata: a Torino do sempre molte cose per scontate, in Etiopia non posso dare nulla per scontato, mai. Sto imparando, sono passati solo tre giorni dall'arrivo e so che ho ancora molto da scoprire per poter comprendere davvero. Sono all'inizio.

Lisa, volontaria CVM in Etiopia 

Etiopia...le prime emozioni di Giulia


Addis Abeba, 28 novembre 2012

Ed eccoci qui! Ieri mattina un'alba troppo rossa, proprio da clichè africano, mi ha svegliato attraverso il finestrino dell'aereo, e poco dopo abbiamo cominciato la discesa su Addis. Tutt'intorno l'altopiano etiopico si presentava avvolto in una leggera nebbiolina, che poi ho rivisto circondare la città anche stamattina e che rende il panorama simile a quello di un paesaggio incantato. Si distinguevano bene, comunque, i confini dei campi coltivati che ritagliavano il terreno in forme irregolari. La vegetazione è già quasi tutta ingiallita, soprattutto l'erba, anche se l'ultima stagione delle piogge è finita relativamente da poco e la prossima è ancora lontana..
Le formalità in aeroporto sono state molto veloci, il poliziotto che mi ha fatto entrare in Etiopia era sorridente e parlava un po' di italiano e il funzionario della dogana ci ha fatto passare senza problemi. Fuori ad aspettare me e Lisa c'erano Valentina ed Antonella, che ci hanno portato a conoscere i nostri colleghi dello staff dell'ufficio di Addis e poi alla foresteria del CVM a riposare. L'accoglienza è stata proprio squisita.
Io e Lisa siamo uscite solo un po' verso sera, passeggiando per le viuzze intorno alla casa. Aveva già fatto buio quindi bisognava stare attenti a dove si mettevano i piedi, visto che le uniche luci provenivano invitanti dai negozietti sui bordi delle strade. Attorno a casa abbiamo parecchi panifici, ortolani e botteghe di scatolame vario, bibite e detersivi e ovviamente rimangono aperti tutti fino a tardi quindi credo che non rischieremo mai di restare senza spesa... C'è anche un grande mercato di bancarelle ma ieri non abbiamo fatto in tempo ad andarci, spero tanto ci andremo stasera. Andare al mercato per me è sempre una festa.
Ufficio e foresteria sono abbastanza vicini, si può spostarsi a piedi tra uno e l'altro. L'ufficio si trova in un quartiere in cui vivono molte famiglie di origine somala, per cui la maggior parte delle donne che ho visto per strada hanno il capo coperto. Si sente il muezzin cantare per chiamare alla preghiera.
A volte i bambini che incrociamo sul marciapiede ci salutano con un sorriso unito a un “Hello!” o “Salam!”, qualcuno ci ha anche porto la mano cerimoniosamente.
Il clima è fantastico, sembra la nostra primavera, con un'aria frizzantina la mattina e la sera e calda durante la giornata. Niente umidità, altro che il Veneto Orientale.... Oggi si comincia con le varie formalità burocratiche, consolato, Charity e così via. Dopodomani però farò già la prima uscita sul campo, andremo in Wolayta, nel Sud, a visitare gli ultimi interventi realizzati dal CVM e poi accompagneremo un giro di monitoraggio dell'Ufficio Tecnico Locale del Ministero degli Affari Esteri. Forse proseguirò per una prima puntatina a Bonga, dove poi mi trasferirò stabilmente nel giro di un mesetto, quindi sono molto impaziente!

Soddo (Wolayta, SNNP Region), 1 dicembre 2012
Ieri mattina siamo partiti col pick-up da Addis Abeba e preso la strada verso Sud. Ecco l'Etiopia. Abbiamo corso per ore sull'altopiano, bellissimo. È evidente come questo paese sia densamente popolato (anche se non come l'Italia o il Bangladesh per fortuna!), non ci sono mai stati tratti in cui non incontrassimo abitazioni o persone. Appena usciti dalla città le case in muratura o cemento hanno lasciato il posto a capanne a pianta circolare, le pareti fatte in legno e fango e il tetto a cono con il telaio di legno e ricoperto di paglia. Quasi tutte sono ornate con dei bellissimi dipinti attorno alla porta. Per tutto il giorno abbiamo corso in mezzo a queste capanne, che mi piacciono moltissimo, senza che la loro architettura cambiasse mentre passavamo da una regione a un'altra.
Abbiamo fatto una tappa nella cittadina di Durame per lasciare una volontaria presso una piccola scuola costruita e gestita da una ONG. Ci siamo fermati solo pochi minuti perché volevamo riprendere subito il viaggio per arrivare a Soddo prima che facesse buio, però l'accoglienza che ci hanno fatto i bambini é stata allo stesso tempo squisita e commovente. Non so perché fossero così felici di vederci e perché ci facessero così tanti sorrisi, forse solo perché costituivamo una novità che rompeva la monotonia del loro pomeriggio, o perché effettivamente eravamo degli ospiti, dei visitatori, ma anche se arrivavamo a mani vuote si sono fatti tutti intorno a noi a salutarci e stringerci la mano, maestri e personale della scuola al completo. Quando siamo ripartiti ho tenuto lo sguardo fisso fuori dal finestrino per non far vedere che piangevo. Un pinco pallino gira tutto il mondo, conosce gente e città lontanissime, magari si illude di sapere già un sacco di cose ma poi come resistere a una simile accoglienza?
Oggi invece siamo andati a visitare alcuni impianti costruiti da poco nei villaggi attorno a Soddo. Soddo è una cittadina piuttosto grande, ma tutt'intorno i villaggi sono costituiti da queste capanne circolari distribuite nella campagna, di solito senza qualcosa che assomigli a un “centro” o una piazza principale come si ha nei paesini italiani. L'unico elemento che caratterizza ogni villaggio è un grande albero dalla larga chioma. Il primo che ho visto, vicino a Durame, mi ha fatto scappare un urlo perché era altissimo e sembrava avere mille anni o giù di lì... Le capanne spesso hanno dei cespugli di fiori accanto alla porta, e ho visto molte anfore e recipienti di terracotta o di ceramica nera. Il paesaggio è molto bucolico, insomma, ma poi tutto l'incanto svanisce quando arriva il momento di concentrarsi sul motivo per cui sono qui, cioè i problemi nell'approvvigionamento di acqua potabile e la mancanza di servizi igienici. Abbiamo visitato i punti in cui sono stati riabilitati dal CVM dei pozzi dotati di pompa manuale (uno pescava addirittura a 60 metri di profondità per cui l'acqua ci metteva parecchi minuti a risalire) e vari fontanili realizzati a partire da sorgenti spontanee, presso queste ultime c'era la coda di donne e bambini che aspettavano il proprio turno per riempire la tanica da 25 litri. Per quanto mi fossi già trovata in situazioni simili, in altri paesi, tutta la giornata è stata una tempesta di emozioni diverse, non è facile trovarsi di fronte a un mondo così diverso, dare un senso a queste differenze, ci vorranno parecchi mesi per abituarsi a vivere tutti i giorni in mezzo alla conseguenze delle ingiustizie che si consumano in questo pianeta senza esserne continuamente sopraffatta. Possibile che non si voglia fare di più?  Ogni volta che ci siamo fermati presso un impianto siamo stati circondati di bambini sorridenti e ridacchianti, gli adulti sono venuti a salutarci e a vedere cosa volevamo nel loro villaggio... In alcuni casi gli abitanti del villaggio si sono mostrati attenti ed interessati alle migliorie che suggerivamo, in altri non sembravano molto intenzionati a metterli in pratica...quanto avrei voluto poter eliminare la distanza enorme che c'era tra me e loro a causa dell'impossibilità di comunicare direttamente. Per qualsiasi cosa avevo bisogno di due interpreti, il nostro tecnico dell'ufficio di Wolayta che traduceva dall'inglese all'amarico (la lingua più diffusa in Etiopia, un tempo era l'unica ufficiale) e poi di un altro tecnico locale che traducesse dall'amarico al wolaytigno, la lingua che si parla qui. Non vedo l'ora di cominciare a studiare per lo meno l'amarico, non è possibile lavorare con delle persone con cui è impossibile parlare, non so se va bene quello che sto facendo, non posso capire di cosa hanno bisogno, cosa pensano del nostro lavoro...

Giulia, Ingegnere in Etiopia con CVM