giovedì 28 maggio 2009

E le porte di casa si son poi aperte...



North Gonder/ Housemaids Association

C'è Etiye che, china sulla jebena, prepara il caffè secondo tradizione. C'è Assefu, dal capo coperto, e accanto a lei Enanitu, che sfoggia caratteristiche treccine. C'è la taciturna Hana e c'è anche, ogni tanto, Zenbu che, forse intimidita, passa la maggior parte del tempo fuori dalla piccola stanza. Sono una di fianco all'altra, vicine pure nelle esperienze di vita, tali ragazze, figlie d'Etiopia, che prestano servizio nelle case della woreda di Azezo. Sono componenti dell'Alem Housemaids Association, cioè l'associazione di domestiche sorta tre mesi fa e promossa da CVM/APA, al fine di educare, rafforzare e rendere meno vulnerabili a soprusi e violenze queste giovani di campagna.

Oggi, queste ragazze, qualche tempo fa paralizzate dalla paura, nelle case come durante i training psicologici e sanitari del CVM, sono di fronte a me, per parlare delle loro vicende, come fanno ogni domenica, nell'ufficio dell'Anti-HIV/AIDS Association, dove si ritrovano per discutere della settimana trascorsa, per condividere, tra un sorso di caffè e l'altro, le proprie esperienze e problemi. Si può immaginare la difficoltà nel convincere i padroni di casa a lasciarle andare, anche solo per un giorno alla settimana: un lungo lavoro di perseveranza, specialmente da parte dei volontari dell'Anti-HIV/AIDS Association. In totale, le ragazze sono 25 e tutte provenienti da quell'Azezo Woreda dove violenze e abusi sessuali sono quasi tradizione.

“Vengo dalla campagna – racconta Enanitue, dopo la morte di mio padre, non ho potuto continuare gli studi ed ho iniziato a lavorare come domestica. Adesso, la situazione è migliore rispetto all'inizio e, grazie al training, mi sento più sicura di me.” Etiye interrompe la preparazione del caffè per aprire la nera scatola dei ricordi: “Nel nostro lavoro, ci sono molti problemi, come i maltrattamenti cui spesso veniamo sottoposte. Io, ad esempio, sono stata più volte insultata, picchiata, bagnata con l'acqua bollente e pure... stuprata.” A questo punto, la voce di Etiye diviene flebile suono, rotto dall'emozione, e la sicurezza iniziale si scioglie in lacrime. Ma è solo un attimo, in un rapido cenno la mano spazza via l'angoscia, gli occhi tornano sulle tazzine pronte a ricevere il nero nettare che qui chiamano bunna.

Ora, si chiacchiera serenamente, sorseggiando caffè. Le ragazze si aprono al dialogo, abbattono le barriere che spesso ci rendono monadi, mondi a sé, chiusi all'Altro, finché, nel misterioso specchio dell'empatia, nell'Altro non si ritrova se stessi.


Simone Accattoli

Volontario in Servizio Civile, Etiopia

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