Non importa se non c’è il palco e neanche i vestiti di scena, quando la rappresentazione prende il via lei si immedesima completamente nel suo ruolo, ci mette convinzione, passione, riuscendo a captare l’interesse degli osservatori e mantenere l’attenzione generale alta fino al termine della storia. Certo, il merito è anche degli altri ragazzini che con lei danno vita allo spettacolo, ma di sicuro Kedest Lefalem è tra i più coinvolti e sembra particolarmente portata per la realizzazione dei ‘drama’, le brevi recite che vengono usate come strumento educativo per trasmettere importanti messaggi a grandi e piccoli. È una dei membri della “Biruh Tesfa”, l’associazione di orfani di Debre Markos nata grazie all’ONG Comunità Volontari per il Mondo (CVM). Quest’ultima cerca di togliere i ragazzini dalla strada, quando possibile affidarli alle cure di familiari o persone fidate e garantire loro la possibilità di andare a scuola. Ma li coinvolge anche in una serie di attività importanti per una crescita equilibrata e tra queste c’è anche la realizzazione di recite. Esiste uno specifico gruppo all’interno dell’associazione che si dedica a questo e Kedest ne è la responsabile.
Ha una particolare passione per le rappresentazioni teatrali, le piace scrivere le storie da mettere in scena ma anche interpretarle. A casa spesso compone piccoli poemi e racconti che poi, negli incontri che l’associazione tiene tutte le domeniche mattina, insieme agli altri membri del gruppo mostra davanti a tutti i ragazzini della “Biruh Tesfa”. Di norma gli spettacoli parlano di orfani e di bambini di strada, delle loro vite difficili, delle sofferenze e dei problemi che devono affrontare, ma anche di cosa possono e devono fare per cambiare le cose. Gli spettacoli però trattano pure di HIV, dello sfruttamento delle giovani ragazze che lavorano come serve in case altrui e, in generale, dei comportamenti corretti che bambini e giovani dovrebbero adottare. “Di pratiche sbagliate ma molto diffuse ce ne sono tante – ci spiega seria e posata -, questi spettacoli sono utili per spiegare in modo semplice ciò che non è corretto e cancellare le brutte abitudini. Ciò di cui preferisco scrivere è dei ragazzini di strada miei coetanei e degli altri membri dell’associazione: abbiamo problemi simili, alcuni di noi vengono dalla strada”. Certo, racconta cercando di sottolineare l’importanza del suo ruolo, coinvolgere i bambini più piccoli nelle recite è difficile:“in un primo momento vogliono partecipare di spontanea volontà, però poi si vergognano a recitare davanti agli altri e alla fine si tirano indietro. In genere sono soprattutto le femmine a voler prender parte agli spettacoli, mentre i maschi si fanno meno avanti. Io di solito scrivo le storie a casa, ma la domenica tutti noi membri del gruppo teatrale ne discutiamo insieme e decidiamo cosa mettere in scena, poi la settimana successiva facciamo la recita”.
Se ufficialmente è responsabile di questo gruppo di piccoli attori e in questo compito è palesemente a suo agio, è anche vero che il suo attivismo e la sua partecipazione emergono lampanti pure in altri momenti di vita dell’associazione. Kedest, infatti, è tra i membri che gestiscono gli incontri della domenica e che si impegnano per coinvolgere i più piccoli e i nuovi arrivati nelle varie iniziative. Con loro tira fuori i tratti da leader del suo carattere, la sua forza trainante. Recentemente è stata anche scelta come uno dei rappresentanti dell’East Gojjam per il network regionale che collega le varie associazioni di orfani.
Ormai sono cinque anni che il CVM ha preso a cuore il suo caso e l’ha inserita nei progetti rivolti ai ragazzini orfani e meno fortunati. È entrata in contatto con l’ONG italiana grazie ad alcuni coetanei che conoscevano l’associazione e ne hanno parlato con lei; poi l’amministrazione della kebele (come dire quartiere, circoscrizione) ha accertato il suo stato di povertà, condizione necessaria per essere ammessa nel gruppo dei ragazzini supportati dal CVM, che ha quindi cominciato ad aiutarla.
Kedest ha ormai 14 anni, anche se il suo fisico alto e snello e il suo sguardo profondo la fanno sembrare più grande. Ha un carattere forte, è decisa, determinata e nella folla di ragazzini coinvolti nelle attività dell’organizzazione la sua personalità non passa inosservata. È originaria di Dejen, nell’East Gojjam, a circa settanta chilometri da Debre Markos. Ha perso entrambi i genitori quand’era molto piccola: aveva appena un anno quando è venuto a mancare il padre, di cui non sa praticamente nulla, neanche la causa della morte; due anni più tardi è rimasta orfana anche della madre, scomparsa in seguito a una malattia di cui non conosce il nome. Quando la mamma ha cominciato a non star bene, l’ha portata a vivere a Debre Markos, da una zia paterna. Dopo qualche mese, anche la madre e la sorella più grande si sono trasferite nella stessa città, ma da parenti materni. La donna però poco dopo è peggiorata ed è morta. Kedest non ricorda molto di quel periodo, con il suo modo di parlare veloce e spedito racconta solo che la zia paterna non le ha permesso di partecipare al funerale della madre, alla quale non ha potuto dare l’ultimo saluto. Purtroppo, spiega con lo sguardo rassegnato, dopo quella disgrazia ha perso ogni contatto con la sorella: in modo un po’ confuso e facendo trapelare una certa timidezza, dice di non averla più vista. Forse la incontra anche per strada a Debre Markos qualche volta, ma dopo tanti anni non è neanche in grado di riconoscerla: sono ormai due perfette estranee. Qualche tempo fa, aggiunge in modo frettoloso e approssimativo, quasi non volesse affrontare l’argomento, ha chiesto alla zia di cercarla, la donna ha accettato di farlo ma in realtà non si è mai mossa in questo senso. Così, anche l’unica persona in vita del ristretto nucleo familiare, per lei, è come se non ci fosse più. Difficile capire come si senta per questa separazione; nell’affrontare la questione, non lascia trasparire molte emozioni e dalle sue parole appare una situazione quasi normale.
Dalla scomparsa della madre è sempre rimasta a vivere insieme alla zia, con la quale ha un buon rapporto, spiega sorridendo: “A sette anni ho cominciato ad andare a scuola – aggiunge fiera – e lei mi ha sempre incitato a studiare. Mia zia ha anche un figlio, avuto dal primo marito, ma ha trent’anni e vive in un’altra città, a Nazarat, e lavora in ospedale”. Qualche problema in verità c’è in casa, con il secondo consorte della zia, ammette Kedest cambiando tono e facendo scomparire il sorriso: “È scontroso e ha sempre dei comportamenti rudi”, rivela senza vergogna e con una certa sicurezza, precisando che all’uomo non fa piacere ospitare parenti in casa. Una contrarietà che non è legata solo alla sua presenza, in precedenza infatti altri parenti della zia hanno passato alcuni periodi a Debre Markos con loro: “Provenivano dalla campagna ed erano qui per andare a scuola. Due sono tornati nelle zone rurali d’origine, mentre uno è all’università”. A peggiorare le cose c’è poi il fatto, a quanto precisa ancora, che l’uomo a volte beve e litiga con la zia. “Se io mi intrometto mi picchia. Capita – continua seria gesticolando – che sia violento anche con me, se non faccio i lavori domestici e se i risultati a scuola non sono soddisfacenti”. Kedest, come la tradizione vuole, deve aiutare in casa: lavare i vestiti, pulire e badare agli animali. Non le è poi permesso allontanarsi troppo spesso dall’abitazione, molto raramente la zia acconsente a farla uscire per altri motivi che non siano le lezioni a scuola: è una femmina e per questo corre maggiori rischi rispetto ai coetanei dell’altro sesso, quindi va controllata di più. Non è la giovane a spiegarcelo ma il project facilitator del CVM di Debre Markos, Geremew Aklessa: all’inizio la donna era anche preoccupata quando la ragazzina usciva per partecipare agli incontri dell’ONG e spesso si opponeva; per questo, i responsabili l’hanno invitata ad alcune iniziative, le hanno mostrato cosa fanno i bambini facendole comprendere che non c’è nulla di cui preoccuparsi, anzi per Kedest quelle attività sono delle importanti occasioni di crescita e formazione. Così, ora la ragazzina è più libera di partecipare alle riunioni e di passare il tempo con i compagni della “Biruh Tesfa”.
L’incontro con il CVM è stato molto importante per la giovane: nonostante abbia qualcuno che si occupi di lei e non sia quindi costretta a vivere per strada o a lavorare come sguattera in qualche casa, non si può dire che la sua situazione sia facile. Oltre al fatto di aver perso entrambi i genitori quando era ancora piccolina e di non sapere nulla della sorella, Kedest deve fare pure i conti con i problemi economici della zia. La donna, infatti, non lavora e oltre alla pensione del marito le uniche entrate vengono dall’allevamento di alcuni animali da cortile. Per il cibo i soldi bastano, ma per tutto il resto si devono fare grossi sacrifici e le difficoltà maggiori riguardano le spese necessarie per permetterle di studiare. Ora è all’ottavo grado di scuola (la scuola in Etiopia è divisa in gradi, l’ottavo è l’ultimo della scuola primaria), ma se è arrivata fino a qui è solo grazie al supporto del CVM, è lei stessa che con voce seria lo spiega: “Se non ci fosse stata questa ONG non avrei potuto continuare a studiare: fornisce uniformi e materiali scolastici a me e agli altri ragazzini che non potrebbero procurarseli da soli”. Il CVM in verità l’aiuta anche in altro modo: quando la scuola è chiusa cerca di inserirla nei progetti di IGA, in modo da assicurarle un piccolo guadagno. All’inizio ha venduto il grano, mentre recentemente le è stata affidata una pecora da allevare. Rispetto al passato, ora ha qualche possibilità in più di costruirsi un futuro dignitoso, può permettersi di fare progetti: cosa vuol fare di preciso da grande ancora non lo sa, vorrebbe dedicarsi di più alla recitazione, ma anche l’idea di insegnare non le dispiace, di sicuro sa che vuol frequentare l’università. In fondo, per decidere ha ancora tempo, ciò che conta è che ora ha una speranza per l’avvenire.
Camilla Corradini (Volontaria CVM - Etiopia)
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