Bagamoyo, da due anni casa mia qui in Tanzania, sono partito da qui alla fine di novembre per un periodo di lavoro e vacanza in Italia. Ci sono tornato qualche giorno fa, accolto da temperature davvero alte, gradevoli finché si sta all’aperto un po’ meno quando si sta al chiuso. Ad ogni modo, un bel cambiamento dai -10°C delle mie Dolomiti.
Qui ho ritrovato il caldo equatoriale, il piatto Oceano Indiano e il verde delle palme ma il calore che ho ritrovato con più piacere è quello della gente. Ormai, dopo due anni, le conoscenze sono molte e un’assenza di oltre un mese è stata notata da molti ai quali non avevo annunciato che me ne sarei andato per un po’. Il semplice salutarsi e chiedersi a vicenda come si sta richiede comunque molti passaggi, almeno 4-5 scambi di battute, un rito assai più complesso del nostro stile più secco e diretto. Anche chi non ha mai conosciuto i miei genitori mi chiede come stanno, si chiedono notizie su amici comuni e persone che si sa che esistono solo per sentito dire. Con semplicità, ma con il sorriso, aperto e a volte timido dei tanzaniani. I bimbi nel raggio di 300 metri da casa mia fanno rieccheggiare il mio nome a ripetizione come un gioco che li diverte, più del solito, più insistenti del solito, fino a quando non svolto l’angolo. Credo sia il loro modo di accogliermi di nuovo, questo strano ragazzo bianco, il mzungu, che passa in continuazione, li saluta, a volte ci gioca un po’ e poi se ne va.
Sono con Angelo di Chieti, che si fermerà 10 giorni per visitare i progetti CVM e conoscere un po’ di più la realtà tanzaniana. Insieme, stiamo scoprendo Bagamoyo, lui per la prima volta, io dopo un periodo di assenza. Qualche passeggiata sotto il sole cocente, un giro in spiaggia, incontri casuali, sorrisi e qualche risata per le piccole cose che io dopo due anni prendo per scontate ma che non lo sono per chi è alla sua prima visita in Tanzania.
Percorriamo le strade assolate, è mezzogiorno e il sole è a picco la la brezza continua dell’Oceano rende il tutto sopportabile. Bambini e bambine escono da una madrasa (una scuola religiosa islamica dove si studia il corano, solitamente frequentata dai bambini musulmani la domenica), si rimettono le scarpe, corrono, gridano, scherzano. Un bimbo, per attirare l’attenzione di due bambine, improvvisa un balletto davanti a loro, non credo sia questo quello che ha appena imparato alla scuola coranica. Le bimbe si allontanano a gruppetti, tutte col velo bianco, blu o azzurro chiaro; i bimbi col loro cappellino rotondo calcato in testa, bianco anche quello, altri hanno l’intero vestito bianco, una tunica lunga fino ai piedi che conferisce loro un tono da adulti in miniatura.
Continuo la mia passeggiata e passo davanti ad una casa del vicinato. Hanno costruito una tettoia temporanea per dare ombra alle molte persone che in questi giorni hanno visitato la casa. Da 4 giorni è in viavai continuo di persone che vengono a portare le loro condoglianze alla famiglia di una donna di 40 anni, infermiera. La maggior parte dei parenti vive in regioni assai lontane perciò ci hanno impiegato un paio di giorni per arrivare e così anche la veglia si è protratta per qualche giorno. Le cause della morte, come capita molto spesso, non sono chiare, c’è chi dice una malattia che ha colpito l’intestino, chi AIDS. Io tengo un atteggiamento defilato, non pongo molte domande e porto le condoglianze alla famiglia.
A 50 metri, sotto una minuscola capannina di un metro per due, costruita con assi di legno malamente inchiodate, una signora vende pomodori,da lontano, mi attirano. Penso che la sera potrei cucinare una buona pasta al sugo di pomodoro, peperoncino e una bella grattuggiata di Grana Padano portato dall’Italia. Mi avvicino e la signora si alza in piedi, lentamente e sembra quasi controvoglia, mi accorgo che insieme ai suoi due bambini di 3-4 anni stava pranzando seduta per terra sotto il bancone, allombra del tetto di foglie di cocco intrecciate. Noto che i pomodori sono mezzi marci, ma ormai ci sono e non hanno altro da vendere, mi sembrerebbe sgarbato cambiare idea ed andarmene, controllo che scelga bene e ne compro un po’ di più in maniera da poter compensare eventuali scarti che dovrò fare. Non ha buste di plastica e i pezzi di giornale che solitamwnte usa per avvolgere le picclle quantità di verdure che riesce a vendere, non sono grandi abbastanza per avvolgere 12 pomodori. Per fortuna ho una busta con me dove ho messo cose comprate in precedenza, gliela porgo e lei con le sua mani impiastricciate di ugali (polenta bianca) ci riversa i 12 pomodori alcuni dei quali ricoperti da piccole tracce di ugali che verranno a casa con me. Ovviamente non faccio tante storie ma mi fa ridere il pensiero di cosa sarebbe successo se un negoziante del mio paese, intento a mangiare polenta dietro al bancone, si fosse messo a servire un cliente senza prima lavarsi le mani. Anche questa è Africa! Questa è la prima volta che compro pomodori dalla signora ma credo ci tornerò, al di là della qualità dei pomodori e dell’igiene del servizio è la bancarella più vicina a casa e bisogna sostenere questi piccoli-grandi sforzi per migliorare le proprie condizioni economiche, soprattutto quando a farli sono i propri vicini di casa!
Ritornato qui, ho trascorso una delle prime serate con i vicini di casa, aggiornandoci su quello che è successo nel mese di assenza. Tornato dal lavoro, sono entrato in casa ho preso il pacchettino con alcuni regali per i miei vicini e mi sono avviato, nel buio delle 8 di sera, verso la lampada a gasolio che odorosamente illumina la loro bancarella coperta da foglie di cocco intrecciate. Ho trovato mamma, papà e una delle figlie sdraiati a dormire per terra, dormivano sulla tipica stuoia che funge da letto quando fa troppo caldo per dormire in casa. Al mio arrivo si sono svegliati e nella luce soffusa ci siamo messi a guardare alcune foto mandate loro da un ex-volontaria del CVM. La novità ha richiamato l’attenzione delle altre due bambine di casa che sono arrivate, accompagnate da altre due. Ci siamo ritrovati in 8 a passarci le foto, ridere delle facce e provare ad indovinare quando e dove erano state scattate. Un mese fa, ho lasciato questa famiglia formata da 5 persone, mamma, papà (con lieve disabilità fisica) e 3 figlie. L’ho ritrovata formata da mamma papà e 5 figlie, nel frattempo, 2 sono state adottate in quanto orfane di mamma e con il papà lontano, la loro mamma è morta il giorno dopo Natale. Le bimbe hanno 4 e 5 anni e ora sono due bocche in più da sfamare con una piccola bancarella dove si vendono solo banane, biscotti, sigarette, arachidi, detersivo in sacchetti e poche altri beni di prima necessità. Le bimbe sono tutte fra i 2 e i 12 e la più grande, inizierà la scuola secondaria quest’anno, dove i costi sono assai più alti che per la scuola primaria. Forse sarà il mio sguardo condizionato dalla triste notizia che ho appena ricevuto ma ho notato un velo di tristezza negli occhi delle due bimbe che hanno da poco perso la mamma. Ho percepito segni di preoccupazione sul volto della loro “nuova mamma” (che poi sarebbe la loro zia). Non ho fatto molte domande, mi sono sentito bloccato, piccolo, senza parole, l’impatto è stato forte avendo ancora negli occhi dove mi trovavo qualche giorno prima. In Italia, a Natale, circondato da cibo, luci, vestiti nuovi, apparecchi elettronici, benessere, richezza ostentata, follia politico-mediatica e consumismo fieramente dilagante nonostante la crisi. Ce la faranno, da soli o con qualche piccolo aiuto che arriva di tanto in tanto, forse faranno un po’ più fatica, io continuerò a passare a trovarli e scambiare qualche semplice battuta, per ritornare piccolo, ogni tanto fa bene. Questa gente non finirà mai sui giornali o nei libri di storia, ma vederli andare avanti col sorriso, giorno dopo giorno fa riflettere, insegna molto e fa sentire piccoli, molto piccoli. Anche questa è Africa, anche questo è Bagamoyo.
Stefano Battain (CR Tanzania)
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