giovedì 9 agosto 2012

Le prime impressioni di Federica, Valentina e Ylenia dall'Etiopia


Carissimi, scriviamo tutte insieme perchè la connessione è veramente molto lenta.. il nostro lungo viaggio verso il continente nero comincia nella calda e soleggiata mattina del 30 Luglio. Atterriamo ad Addis e Valentina, responsabile CVM Etiopia, è li che ci aspetta e all'uscita dall'aeroporto e già si percepisce di essere in una realtà ben diversa e lontana dalla nostra. Le strade sono deserte, è tardi, l'aria è pungente... è strano pensare di essere quasi ad Agosto 2012.. qui, invece, è il 22 Hamlay (Luglio/Agosto) 2004. È notte e non riusciamo ancora bene a immaginare il paesaggio che ci attende. Si mostra con tutta la sua maestosità e imponenza il mattino seguente quando percorriamo le strade etiopi per giungere a destinazione: Debre Tabor. Dopo 13 ore di pullman un’engera gustata in un piccolo ristorantino di Debre Marcos, giungiamo nel centro del CVM dove ci attendono Deregee e Asnika che ci accolgono con la meravigliosa cerimonia del caffè etiope. Per arrivare al centro del CVM si percorre il cuore del villaggio: l’impatto è forte, tanto, ha piovuto e nelle strade c’è fango; anche gli odori sono forti e nel corso dei giorni impariamo a conoscerli, a riconoscerli e a farli nostri. 

Non appena mettiamo il naso fuori dal centro del CVM, le persone ci circondano, ci scrutano incuriosite e un po’ incredule, i bambini timidi fanno per avvicinarsi, tanti ci sorridono e altri, quelli più piccoli, intimiditi si nascondono un po’ ma poi la curiosità è troppo forte ed ecco che, poco dopo, fanno capolino tra le gambe e le braccia di un fratellino un po’ più grande. I giorni sono pieni, visitiamo il centro dei malati di HIV, alcuni ci raccontano la loro storia, ci commuoviamo quando Tesfiye Mengistu, un uomo che vive grazie al lavoro che svolge nel centro dopo aver ricevuto il microcredito dal CVM dice: “Sono felice che i bianchi siano venuti perché è in loro che noi vediamo una speranza per far conoscere al resto del mondo le nostre problematiche”. Visitiamo gli orfani di strada, coloro che grazie all’aiuto del CVM hanno la possibilità di imparare un mestiere, quello di panettieri e di poter uscire così, almeno in minima parte, dalla loro condizione di estrema povertà che li ha costretti per molti anni a lavorare come shoeshine (pulisci scarpa) o, per le ragazzine, a trasportare taniche di acqua per un quarto di birr (moneta locale che corrisponde a 1,13 centesimi di euro) l’una. 

Entriamo, la bakery è piccola e i ragazzi ci guardano incuriositi e un po’ intimiditi di fronte alle domande che poniamo; poco dopo Amsalu, uno dei 15 ragazzi, si scioglie e comincia a raccontarci la sua storia: ha 17 anni, è orfano di padre, è andato in strada all’età di 7 anni in quanto la famiglia, troppo povera, non era in grado di mantenerlo e prima di entrare in questo progetto svolgeva saltuariamente, lavori quotidiani per 12 birr al giorno (54 centesimi di euro al giorno). Dalla prossima domenica grazie al lavoro nella bakery, ne guadagnerà 30. Sono tante le loro storie, così simili ma così diverse al tempo stesso; sono, però, uguali quegli occhi che ti guardano, quegli sguardi che ti entrano dentro, quegli stessi occhi, migliaia, che ogni giorno incontriamo al mercato del nostro villaggio o davanti alla nostra casa, sono quelli che ci restano dentro più di ogni altra cosa. Le parole scambiate con il nostro divenuto già “bottegaio” di fiducia e le serate e le improvvisate conversazioni con il nostro guardiano Unatù che in Amarico significa verità… sono queste le emozioni della vita. 

“In questo momento, ho bisogno di un’unica cosa: 
un abbraccio. Un gesto antico quanto l’umanità, 
il cui significato va al di là dell’incontro di due corpi. 
Un abbraccio vuol dire: “non sei una minaccia, 
non ho paura di starti così vicino, posso rilassarmi, 
sentirmi protetto e comprendere che c’è 
una persona in grado di capirmi.” Secondo la 
tradizione ogni volta che abbracciamo 
qualcuno con piacere, guadagniamo un giorno 
di vita. Ti prego, abbracciami adesso.” 

(Paulo Coelho) 

Ciao 

Federica, Valentina e Ylenia 

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