Stefano Battain, ex volontario CVM, ci scrive dal Sud Sudan, paese in cui sta lavorando ora...
“Hi my friend! Why?” (Ciao amico mio, perché?). Questa è stata la frase
che più mi ha fatto sorridere durante la mia prima corsetta in Sud Sudan.
Domenica mattina la ragazzine, magrissime, in ogni caso, alte per la loro età,
si avviano verso la chiesa, vestiti lunghi, lucidi, viola, gialli, verdi, il
vestito buon immagino, messo la domenica per andare a messa, o anche solo per
fare una passeggiata con le amiche, cellulare in mano e musica hip pop
americana sparata ad un volume che basta a far gracchiare il mini altoparlante
installato su questi cellulari, sorprendentemente potente ma anche di bassa
qualità. Sono a Bentiu, nel nord del Sud Sudan, nel 2006, aveva circa 7,700
abitanti, ora potrebbero essere attorno ai 10,000 considerando che migliaia di
sud sudanesi dal 2005 in poi hanno risalito la valle del Nilo, dalla desertica
Khartoum alle verdi alture del sud Sudan. Dopo una settimana trascorsa in
ufficio, fra Juba e Bentiu, durante la quale la mia unica attività fisica sono
stati 20 minuti di yoga alla mattina, sdraiato sul pavimento di piastrelle
bagnate fra la mia scrivania e la macchina fotocopiatrice dell’ufficio, ho
sentito il bisogno di muovere un po’ la gambe. Una domenica soleggiata, strano,
visto che siamo quasi al picco della stagione delle piogge e nell’ultima
settimana ha piovuto tutti i giorni, soprattutto di notte, inzuppando il mio
letto, piazzato vicino alla finestra, e obbligandomi a svegliarmi nel cuore
della notte per chiudere le imposte, spalancate la sera per non soffocare nel
caldo umido del luglio sud sudanese aggravato da una zanzariera che ricopre il
mio letto e sicuramente non permette di apprezzare quell’alito di brezza
notturna che comunque ci sarebbe.
Fango, quello si ce n’è,
tanto, le strade sono di fango, tutto il resto è verde, verdissimo in questo
periodo dell’anno, prati di erba lunga fino alle ginocchia, mandrie di mucche
dalle corna lunghissime e spessissime, alcuni asini, oggi forse a riposo ma che
durante la settimana tirano carretti carichi di pesantissimi barili pieni
d’acqua. Poche le abitazioni in cemento, moltissime quelle in fango e legno,
col tetto di paglia, tutte circondate da recinti di canne alte come alcuni
soldati dell’esercito di liberazione del popolo del sud sudan (in inglese:
S.P.L.A. Sudanese People Liberation Army) che si aggirano numerosi per il
“centro” di Bentiu con AK-47 a ricordare e ricordarci che oltre 20 anni di
guerra non si dimenticano con 7 anni di pace e un solo anno di indipendenza.
Continuo la mia corsa,
piccoli uccelli rossi e neri sono appoggiati sui fili dell’elettricità che non
c’è, farfalle, libellule e altri insetti che non avevo mai visto prima ronzano
tranquilli sotto il sole equatoriale, i bimbi mi guardano, ridono, mi prendono
in giro perché corrono e si mettono a ballare, pochi hanno il coraggio di
chiamarmi o salutarmi, solo i più grandicelli, anche loro magrissimi e
slanciati, accennano un saluto, qualcuno solo un “Hello!” qualcuno anche un
“Where are you going?” (Dove stai andando?). Io rispondo a tutti e saluto tutti
quelli che il mio fiatone mi permette di salutare, fa caldo, umido, forse non è
l’ora migliore per correre ma va bene così, credo di avere intuito più cose in
questa mezzora di corsa che nell’intera settimana passata. Sono felice di
essere qua, ottimista, la gente del sud Sudan mi sta già entrando dentro e
ignoro qualche sguardo cupo e severo che mi sono sentito addosso da qualche
uomo di mezza età. Sorrido a tutti, non costa niente e ricevuto più sorrisi in
cambio di quanti ne abbia offerti. Alla domanda “Why?” ho risposto: “Perché
sono grasso” battendomi le mani sulla pancetta, in realtà è solo parte dei
motivi, uno è che correre il forse fra i modi migliori di iniziare ad esplorare
un posto, iniziarne ad apprezzarne i colori unici, annusarne le puzze
fantastiche che ci sono qui in Africa, toccare in qualche modo, o forse
sfiorare, incrociare il mio sguardo con alcuni rappresentanti di quella parte
di umanità che è qui, sotto il nostro stesso sole ma che spesso non esiste a
meno che non riesca ad impietosire i portafogli e far funzionare una qualche
raccolta fondi di una qualche ONG.
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