martedì 29 luglio 2014

Essere un bambino

"Una domanda banale, senza pensarci troppo come si fa tra due persone, due amici che si stanno conoscendo, che si stanno raccontando:
“Ma quando è il tuo compleanno che organizziamo qualcosa di bello?”
“Non lo so, non ho mai saputo quando sono nato, non ho mai festeggiato il mio compleanno.”

La risposta che non ti aspettavi, ma che dovevi immaginare, dopo tutti questi mesi e tutte le persone conosciute, tutti quei bambini senza compleanno e senza famiglia e di nuovo ti soprendi.
Forse perchè questo ragazzo ad Addis sembra così vicino a me, con i pensieri, il modo di vedere il mondo, il modo di cantare mentre cammina, però due storie diverse,una con 27 compleanni tanto attesi e l’altra senza un giorno proprio in 20 anni. Se penso a quell’aspettativa perenne per il mio compleanno, come se ogni volta in quel giorno dovesse succedere qualcosa di unico e incredibile, il mio giorno, quel giorno speciale che si aspetta come la notte prima che arrivi il Natale. E poi ci pensi bene su, un giorno come un altro in fin dei conti ma comunque unico per te...ma lui non ce l’ha né speciale né anonimo...quel giorno non sa quale sia.

Tanti bambini qui non hanno quel giorno, chissà se sono nati in estate quando piove a dirotto o in inverno quando fa caldo e tutto è verde e meraviglioso, chissà se sono nati di giorno o di notte.

Durante un workshop per OVC, bambini orfani e vulnerabili, dove con tutto il mio impegno cercavo di seguire al meglio la conversazione, con qualche aiuto da un ragazzo che mi traduceva come poteva ciò che veniva detto, ad un certo punto una ragazza si alza e ciò che comprendo è che sta recitando una poesia. Non so altro perché sono tutti zitti a guardarla e anche il mio giovane traduttore ammutolisce di fronte a questa splendida recita.
Non voglio disturbare questo momento, aspetto e mi godo l’attimo, quelle parole che per me purtroppo sono solamente suoni, ma che percepisco come parole importanti, si percepisce anche dall’imbarazzo e dallo sforzo che questa ragazza sta facendo per leggere di fronte a tutti ciò che da sola ha pensato, scritto, composto.
Un bellissimo applauso arriva e lei sorride contenta, contenta di essere riuscita a condividere quelle parole e poi mi guarda e mi fa un cenno che vuol dire "tranquilla dopo te la spiego in una lingua comune". E infatti nell’intervallo arriva si siede insieme ad un'amica, che conosce l’inglese un po’ meglio di lei, e insieme mi dicono che questa poesia M. l’ha scritta sugli “Early Marriages”, matrimoni precoci se così si può tradurre, e racconta di una ragazza che tutto ciò che vuole nella sua giovane vita è andare a scuola.
I suoi occhi hanno visto cose terribili e le sue orecchie sentito cose che nessuno vorrebbe ascoltare, aveva una vita semplice, una famiglia molto rigida, nessun compleanno per lei, nessuna festa, nessuno sfogo, ma non le importava, lei solo voleva andare a scuola, quello era il suo sogno.
Ma questo sogno troppo presto divenne un incubo, quell’uomo che lei non conosceva e che le faceva paura cominciò a chiedere alla famiglia di poterla sposare e suo padre accettò di buon grado.
La ragazza non si oppose perché non aveva altra scelta, la volontà del padre non poteva essere messa in discussione e il matrimonio si celebrò e lei pianse tutto il tempo.
Sapeva che la scuola e la possibilità di una vita erano svanite per sempre, era una moglie ora, anche se era ancora una bambina. Una bambina che pochi mesi dopo si accorse di avere una creatura in grembo. Ebbe una bambina quando lei era ancora una bambina che solo voleva andare a scuola. Promise a se stessa che quella bambina sarebbe andata a scuola e avrebbero festeggiato insieme il suo compleanno.

Ho guardato M., la scrittrice, aveva gli occhi lucidi, in inglese forse quelle parole sembravano ancora più forti e quella storia più vera. L’ho ringraziata per aver condiviso con me quei pensieri e lei mi ha sorriso spiegandomi che era una storia vera di una ragazza che vive vicino a lei a Debre Tabor e che purtroppo ce ne sono mille di storie così.
L’educazione serve a tutti perché queste cose smettano di esistere, mi ha detto, e perché i bambini possano finalmente avere un'infanzia. Già, ogni bambino dovrebbe avere il diritto di essere davvero un bambino.

A questa poesia ho pensato quando quel ragazzo mi ha risposto che non sapeva il giorno in cui era nato. Abbiamo stabilito una data, il suo mese preferito e il suo numero preferito.

Quest’anno festeggeremo il suo compleanno non vi sono dubbi e sarà un giorno meraviglioso."

Francesca Peirotti
Volontaria Servizio Civile in Etiopia



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