venerdì 28 novembre 2008

Simone Accattoli dall'Etiopia "Lezione di religione"

Dalla mattina, quando apro lo sguardo al mondo, fino al buio, prima di coricarmi, la cantilenante voce dei religiosi intenti nelle loro “lezioni” mi accompagna, costante e mistico sottofondo alla mie azioni, ai miei pensieri. “Egziabiher” (cioè “Dio”) è una delle poche parole, se non l’unica, che riesco a distinguere, ripetuta, invocata. Qui la respiri ovunque la religione, in ogni momento della giornata. È parte integrante, anzi fondamentale, della vita della gente; non giá mera facciata, bensì motore primo dell’agire, del comportarsi, in base al quale scandire la propria quotidianitá.
C’è la Chiesa Cristiana Ortodossa d’Etiopia, con la sua millenaria tradizione, ma ci sono anche Protestanti e Cattolici, come è presente la componente Ebraica, i cui usi e pratiche sono strettamente connessi alle pratiche religiose di questi luoghi e alla loro storia, tanto che secoli fa e per un dato periodo i regnanti d’Etiopia amavano identificarsi con Re Salomone e, in particolare, la dinastia fondata da Yikunno Amlak nel 1270 venne chiamata “Casa d’Israele”; c’è poi, ovviamente, l’Islam, seppure non prevalente come in altre Nazioni limitrofe e alla cui vera e propria invasione, all’inizio del XVI secolo, la Chiesa d’Etiopia seppe resistere e sopravvivere. Ho sentito e letto anche del persistere di certe forme di Paganesimo o, meglio, Animismo in alcune delle zone meno civilizzate del Paese. Trattasi, insomma, di un complesso mosaico, il cui comun denominatore sta nell’importanza che tutt’oggi l’aspetto spirituale, nella veste di varie e variegate confessioni religiose, riveste nella vita delle persone.
Magari, da queste parti non hanno altro cui aggrapparsi, si potrá pensare. Ma, a mio avviso, c’è molto altro e molto di più. C’è un’immensa cultura che la Chiesa d’Etiopia è stata in grado di preservare e tramandare nei secoli, svolgendo anche un importante funzione educativa e formativa in tempi in cui non erano presenti altre agenzie di socializzazione, come le definirebbero i sociologi, fuori dall’ambito familiare. C’è l’orgoglio di una storia antica e speciale, che distingue l’Etiopia dagli altri Paesi africani, che va di pari passo con l’evoluzione del Credo della Nazione, il quale dal Giudaismo, praticato assieme al Paganesimo prima ancora dei contatti con l’Impero Romano, vide l’introduzione del Cristianesimo ad opera proprio dei mercanti romani, attivi nelle principali cittá della regione di Axum, primo passo verso un affermazione che, a differenza di altrove, avvenne dall’alto, per precisa scelta della dinastia regnante, la quale fece proprio del Cristianesimo la religione di ufficiale, dando il lá alla sua profonda penetrazione presso la popolazione etiope. C’è, insomma, una reale identificazione tra ciò che si è, in quanto Nazione etiope, e le proprie istituzioni religiose, visto che proprio grazie a queste la Nazione, che si sostanzia nella cultura e nella tradizione di un popolo, ha potuto vivere, sopravvivere e così svilupparsi.
In questo sta il motivo per il quale i Portoghesi, che pure diedero un forte contributo militare ai fini della definitiva disfatta dell’esercito islamico nel XVI secolo, vennero poi coinvolti in sanguinosi contrasti, che portarono all’espulsione delle missioni gesuite dal Paese, ad opera dell’Imperatore Fassiladas (1632): essi non compresero il valore della storia e dell’ereditá culturale della Chiesa d’Etiopia, comportandosi come agenti della Santa Sede, educatori spirituali nei confronti di un Paese che, da questo punto di vista, poteva ben definirsi orgogliosamente autosufficiente.
Ecco, allora, che molte altre cose che si vedono, si osservano, diventano più chiare e facili da comprendere, al di lá della propria condivisione o meno. Basti pensare a tanta e sentita partecipazione popolare in occasione delle varie festivitá e cerimonie religiose, anche per quelle che inizialmente tali non erano, ma valenza religiosa hanno acquistato (inevitabilmente) in seguito. É il caso, ad esempio, dell’usanza, la mattina del giorno di San Michele (il 12 novembre, stando al calendario etiope), di bruciare la propria spazzatura davanti all’uscio, in memoria di quanto fatto dai propri avi allorquando (siamo a fine ‘800), per bloccare la dilagante epidemia di colera, il regnante Menelik II ordinò alla popolazione di dar fuoco appunto a quanti più possibili rifiuti. Peccato che oggigiorno, oltre al fatto che è venuta meno la motivazione contingente, i rifiuti abbiano cambiato e parecchio la propria natura: un conto è bruciare sterpaglie e fogliame, un altro è fare lo stesso con plastica e materiali sintetici vari. Ma tant’è, le attuali leggi e tutti i moniti governativi del caso non possono nulla: la mattina di S. Michele, Addis Abeba viene puntualmente avvolta da una folta nebbia, quasi fosse la triste e misteriosa Londra ottocentesca narrata da Blake, le origini della suddetta nebbia a far da elemento discrepante. Perchè questo? Semplicemente per la valenza cerimonial-religiosa che tale usanza attualmente riveste. Insomma, San Michele val bene un po’ di catrame nei polmoni...
Non mi si fraintenda per quest’ultimo esempio: tutto ciò è estremamente affascinante. Talvolta è bene sospendere il giudizio raziocinante; anche quando, alla fermata dei mini-bus (pardon: taxi, come li chiamano qui), tra le bancarelle illuminate, il vociare dei passanti e le grida degli addetti alla comunicazione della destinazione dei vari mezzi pubblici, da uno di questi caratteristici pulmini bianchi e blu si leva perentoria, mediante altoparlante, l’ennesima cantilena sacra, simile, al mio orecchio, alle innumerevoli altre che mi accompagnano nelle attivitá quotidiane e tra le mura della sede CVM. Eccessivo? Fuori luogo? Forse, ma in base a quali parametri? Magari, quello fuori luogo sono io...

Simone Accattoli
Volontario in Servizio Civile, Etiopia

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