Un’immagine mi ha colpito ieri, passeggiando con Dawit (un ragazzo conosciuto qui ad Addis) non lontano da Mesqal Square. Presso quelli che vengono chiamati Giardini d’Africa o qualcosa del genere, un amplissimo parco verde e lussureggiante, un folto gruppo di convitati ad un matrimonio si produceva in allegre e vivaci danze, tra colorati gazebo e tavole imbandite. Chiunque sia in grado di prendere in affitto, anche per un solo giorno (e che giorno...) un luogo del genere non se la deve passare affatto male! Pochi metri, qualche albero a separare e poi tre ragazzi, nei pressi di un gruppo di massi, in riva al fiumiciattolo d’acqua sporca. Non si agitano al ritmo frenetico delle danze, i loro movimenti sono lenti, svogliati, pressochè inerziali, quasi ci fosse un muro spesso, insonorizzato, a separarli da ciò che avviene a pochi metri di distanza. Uno di loro sembra masticare qualcosa, dell’erba, forse chat, la droga qui più in voga, l’eroina etiope, con le dovute proporzioni. I loro abiti non sono quelli della festa; sono semplici, per non dire miseri, sporchi, finanche scuciti, strappati. Non so se sia un’impressione prodotta dalla mia mente, ma sembra persino che il sole risplenda più forte e vitale sugli etiopi in festa, lasciando un po’ in ombra il luogo dei tre fuori dalla festa.
Osservo dal marciapiede del ponte dove mi trovo, muovo lo sguardo velocemente dagli uni, quelli al sole, agli altri, quelli all’ombra, sia essa metafora o reale condizione climatica. Un angolo di visuale assai scarso per me, che guardo dall’alto. Uno, due; uno, due. Un mondo ed il suo opposto, lontani anni luce e così vicini, contigui, se non fosse per qualche arbusto. Contrasto stridente. Di più: contraddizione, se si considera la sostanziale unitá di tempo e spazio.
Gli occhi osservano. La mente tenta di capire. Il cuore non si capacita.
Simone Accattoli
Volontario in Servizio Civile, Etiopia
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