martedì 9 marzo 2010

Dove gli schiavi lasciavano il cuore




Bagamoyo 18.02.2010

Questa settimana ho riscoperto la mia piccola grande Bagamoyo, che, pur vivendoci da due mesi ormai, conosco poco e riesce a stupirmi ogni volta…
Domenica, dopo una giornata trascorsa per la prima volta nel mio enorme lettone con la compagnia della musica, della grammatica swahili, di un buon libro e dell’immancabile ventilatore, sono uscita nel tardo pomeriggio con l’intenzione di avventurarmi tra le strade impolverate di Bagamoyo e andare verso il mare per godermi le ultime ore di sole…
Inaspettatamente mi ha accolto una Bagamoyo più movimentata e allegra del solito e alla mia curiosità è stata presto data risposta… più di una persona infatti al mio passaggio si è avvicinata per farmi gli auguri di San Valentino….eh già, San Valentino, chi l’avrebbe mai detto: un evento per questo piccolo porto di mare… La curiosità è aumentata quando a pochi passi da uno dei locali più frequentati, Corner, ho scoperto un folto numero di persone intente ad osservare un gruppo di ragazzini girare un video musicale! Considerato l’avvenimento particolare, ho deciso di cambiare i miei piani, sedermi al bar a bere una “soda” e osservare il movimento intorno a me! Più che il fatto in sé - due “cantanti” vestiti da rapper, due ragazze alla moda, musica, un microfono, un computer ed una telecamera - a richiamare il mio interesse è stato il variegato gruppo di persone fermatesi ad osservare: bambini al collo delle mamme, bambine con vestitini arrangiati e sporchi, ragazzine con il velo insieme ad amiche più spigliate con jeans attillati e magliette aderenti, donne con i secchi appena riempiti al pozzo, altre pronte a vendere qualcosa, ragazzi in cerca di un incontro, uomini di una certa età con il tipico berretto tanzaniano, donne anziane accompagnate da un bambino… tutti lì, incantati, quasi il tempo si fosse fermato! Per poi disperdersi un attimo dopo, una volta finita la musica.
Concluso lo spettacolo, ho ripreso la mia strada verso il mare… Fino a domenica ero stata in spiaggia sì e no quattro volte, mai da sola e sempre nella parte di spiaggia dove si trovano i vari resort che ospitano i turisti occidentali… dove non mi sento troppo a disagio a mettermi in costume, perché la gente che passa è sempre poca e io posso comunque fare finta di essere una turista, invece che una volontaria che lavora con una Ong locale. Generalmente la spiaggia di domenica è sempre vuota, perché non ci sono i pescatori al lavoro e perché difficilmente la gente di Bagamoyo vede la spiaggia come luogo in cui trascorrere il tempo libero e magari rinfrescarsi un po’ nel mare.
Ma il giorno di San Valentino a quanto pare tutto cambia… Questa volta mi sono portata verso il “porto”, da cui durante la settimana partono le barche dei pescatori e che ospita pertanto il mercato del pesce. Passando tra le numerose rovine risalenti all’impero coloniale tedesco, che “ricordano un passato triste e allo stesso tempo glorioso” della cittadina, si arriva alle rovine di un vecchio forte arabo, dove venivano un tempo concentrati gli schiavi da inviare a Zanzibar... E che, per certi versi, forse è anche il luogo che ha dato origine al nome della cittadina. Bagamoyo vuole infatti dire “lascio qui il mio cuore”, frase probabilmente riferita agli schiavi che venivano portati qui per essere venduti oltremare e che, quindi, proprio qui abbandonavano ogni speranza. E infatti:
“L’atmosfera sonnolenta e in apparenza tranquilla di Bagamoyo cela trascorsi di tutt’altro genere. Nei secoli trai il XVIII e XIX, i sultani omaniti che regnavano a Zanzibar controllavano anche molte città costiere e fecero di Bagamoyo il punto di arrivo di molte carovane che giungevano sulla costa dal cuore del continente. Carovane cariche d’avorio, ma soprattutto di “legno d’ebano”, un eufemismo con cui i negrieri definivano la tratta. Bagamoyo divenne il principale centro di smistamento degli schiavi che venivano raccolti ed inviati al grande mercato di Zanzibar distante solo 42 km di mare, prima di esser inviati alle loro destinazioni finali.”
Se di solito, nella desolazione più totale della spiaggia, te li puoi quasi immaginare, gli schiavi, tutti in fila pronti per essere imbarcati, non è stato così questa domenica… diversamente dal solito, infatti, un fiume di persone mi ha accolto lasciandomi a bocca aperta… qualche famiglia con bambini, qualche uomo solitario, ma soprattutto tantissimi giovani… tanti puntini neri per alcuni chilometri di spiaggia: lo “struscio” di Bagamoyo. E non solo, fatto piuttosto insolito, tante persone in acqua. Tra queste anche qualche ragazzina! Solo un paio, più coraggiose con pantaloncini e costume, tutte le altre con tanto di vestiti (e paradossalmente molto più sensuali delle amiche)… e poi, ragazzi impegnati in esercizi di capoeira, altri a bere birra e ballare al ritmo della musica proveniente da una macchina poco distante, altri ancora semplicemente a passeggiare mano nella mano avanti e indietro sulla spiaggia… Una spiaggia diversa, che temo non avrò modo di vedere di nuovo per molto tempo e che pertanto ho voluto godermi fino alla fine, rischiando un po’ a restare fino all’imbrunire… pericoloso in quanto donna, in quanto bianca, in quanto sola… ma le persone erano talmente tante che era difficile avere paura...

Oggi, con ancora in testa le immagini della domenica appena trascorsa, ho pensato di correre a casa, prendere un libro e tornare sulla spiaggia… Una volta arrivata, ho capito in fretta che non mi sarei fermata…la situazione di domenica era solo un ricordo. La spiaggia quasi non esisteva a causa dell’alta marea e per quel poco era occupata dai pescatori… tanti, tutti uomini, intenti nel loro lavoro, qualche ragazzino in acqua, nessuna donna… mi sono sentita un’intrusa, non a disagio, ma intrusa! e ho colto la perplessità nei loro sguardi al mio passaggio. Non mi sarei mai sognata di sedermi a leggere in quella situazione e non mi è rimasta altra scelta che allontanarmi… per nulla amareggiata, anzi, con un sorriso per essere stata partecipe almeno un po’ di un “pezzettino” di vita quotidiana di quella che è una delle principali attività economiche di questa cittadina. Troppo carica di entusiasmo, non avevo però voglia di rientrare a casa e mi sono incamminata tra “le suggestive rovine che si innalzano tra le palme da cocco che delimitano la spiaggia…”. Proprio qui sono stata attirata da una vivace musica di tamburi e ovviamente mi sono avvicinata. Tra i resti di due vecchie case, ho trovato un gruppo di ragazzi e ragazze a ballare al ritmo dei tamburi le tipiche danze locali. La tentazione è stata di buttarmi insieme a loro senza pudore, ma mi sono limitata ad unirmi agli altri osservatori. La situazione era buffa, poiché il gruppo di ballerini era composto principalmente da ragazze, ma di tutte le età a partire dai dieci anni… e poi sei ragazzi circa a suonare i tamburi, uno xilofono ed una batteria davvero molto improvvisata. Il tutto è andato avanti per più di un’ora e, poiché ogni tanto si fermavano e si davano consigli l’un l’altro su come muoversi, ho immaginato che stessero facendo delle prove. E infatti, perché ovviamente come mzungo non sono passata inosservata e alla fine ho avuto modo di scambiare due parole con loro, si trovano due/tre ore ogni giorno a provare nella speranza di poter offrire un giorno il proprio show ai resort sulla spiaggia, per intrattenere i turisti. Nonostante non fossero proprio professionisti, sarei rimasta per ore ad osservarli incantata, a riempirmi della polvere che si alzava ai loro passi… e a sorridere come una scema! Più il ritmo incalzava più anche i loro movimenti diventano spontanei e naturali, nel vero senso dei termini… movimenti semplici, ma che io, anche provando, non potrei imitare per quel famoso “ritmo nel sangue” che loro evidentemente hanno.

Silvia Volpato
Volontaria in Servizio Civile - Tanzania

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