martedì 21 dicembre 2010

Tihitna, dal lavoro di muratore al sogno di studiare (D.Marcos - Etiopia)


Potersi iscrivere a scuola è sempre stata una sfida per Tihitna Goshia, i soldi in casa non bastavano mai e il desiderio di istruirsi si scontrava con la decisa opposizione del padre che riteneva fosse più importante avere un lavoro già da giovanissime piuttosto che studiare.

Per i primi sei anni o gradi (la scuola in Etiopia è divisa in gradi) era riuscita ad avere un seppur minimo appoggio della famiglia che le aveva permesso di seguire le lezioni, ma quando al settimo aveva manifestato l’intenzione di proseguire nella sua formazione erano scoppiati i problemi: i suoi genitori non avevano i soldi necessari e avevano insistito affinché si trovasse un’occupazione. Un’idea che proprio non piaceva a Tihitna, che con un’aria rassegnata ma tutto d’un fiato racconta di essersi rivolta in lacrime al fratello, Bizualem. Fu lui, che dall’originaria woreda di Gozamen a quel tempo si era già trasferito nella città di Debre Elias, ad aiutarla accogliendola in casa. Purtroppo però la situazione economica del fratello non era migliore di quella dei genitori e anche lui non poteva permettersi il costo della sua istruzione, le consigliò quindi di lavorare come domestica, donna di servizio a tempo pieno per una famiglia. Tihitna non era certo entusiasta di questa soluzione, ma era altrettanto consapevole che di alternative non ce n’erano: se non voleva abbandonare la scuola quella era l’unica via. In un primo momento sembrò anche aver trovato un buon accordo con i datori di lavoro: “Acconsentirono a lasciarmi il tempo per seguire le lezioni, loro avrebbero coperto le mie spese scolastiche e io mi sarei occupata della mansioni domestiche senza percepire alcuno stipendio”, spiega con il sorriso, poi fa una pausa e il volto si fa in un attimo serio. “Era molto difficile vivere così – continua con la testa china -: lavorare prima e dopo la scuola, e poi trovare pure il tempo per studiare. Dovevo guardare i bambini dei padroni, di cui uno di appena sei mesi, preparare l’enjera (una sorta di pane spugnoso che accompagna ogni portata in Etiopia) e la tella (la birra locale), e occuparmi della casa. Dovevo anche andare a prendere l’acqua, la fonte era molto lontano dall’abitazione e questa era la cosa che odiavo di più, dover camminare parecchio con pesanti anfore per l’acqua”. Tihitna però strinse i denti e cercò di resistere, almeno fino a quanto le fu concesso di andare a scuola: ad un certo punto, però, i datori di lavoro decisero di non coprire più le sue spese e alla richiesta di un nuovo quaderno per gli esercizi si opposero fermamente, sostenendo che lei fosse lì per accudire i bambini e non per studiare. Nel ricordare quei giorni il volto si fa teso, la delusione per quegli atteggiamenti brucia ancora dentro di lei e il racconto diventa concitato. Lei però non aveva mezzi per difendersi, l’unica cosa che poteva fare era abbandonare la casa e chiedere di nuovo aiuto al fratello. Così fece e per un po’ restò da lui. La scuola fortunatamente era quasi al termine e per il breve periodo che si fermò a casa sua, Bizualem riuscì ad aiutarla. Finite le lezioni, la ragazzina tornò a casa, dove nel frattempo la situazione era precipitata: i genitori avevano infatti divorziato e il capofamiglia era andato a vivere altrove.

A quel punto, però, la madre si sentì libera di assecondare i sogni di formazione della figlia: prima di tutto prese in prestito dei soldi dai vicini, poi vendette un bue per restituire il denaro e averne a sufficienza per la giovane. Nel frattempo Tihitna non restava a guardare, non è tipo da star con le mani in mano: così si diede da fare per guadagnare qualcosina, lavorando giornalmente come muratore nella costruzione di edifici. Sono molte le donne e le ragazze in Etiopia impiegate nei cantieri edili, pubblici e privati. Per le studentesse spesso è l’unico modo per avere il denaro sufficiente per pagarsi la scuola. “Guadagnavo 15 ETB al giorno, stavamo costruendo un palazzo. Era molto faticoso – dice volgendo lo sguardo verso l’alto -. Quando si fanno questi lavori si hanno costantemente le mani ferite e poi io avevo sempre paura di cadere. Di buono, in questo tipo di occupazione, c’è che di notte non si lavora, mentre quando ero una domestica alcune mansioni mi tenevano impegnata anche fino a tarda ora”. Ripensando a quei giorni ricorda inoltre che gli incidenti erano frequentissimi, e non c’è da stupirsi viste la totale mancanza del rispetto di misure di sicurezza. In quei cantieri si lavora senza tute, le ragazze con la gonna, senza guanti, elmetti o altri sistemi di protezione. Anche lei una volta ha avuto un incidente: “Mi feci male ad un polso – racconta toccandosi il braccio e la mano destra -, ma non potevo fermarmi perché rischiavo di perdere il lavoro. Avevo un gran dolore ma dovevo resistere”, precisa aggiungendo con lo sguardo basso che non aveva nessun contratto a tutelarla.

Fu grazie a quei lavori estivi nella realizzazione di palazzi e strade e all’aiuto della madre e del fratello che Tihitna poté continuare la sua formazione. Fu anche in grado di prendere in affitto una piccola stanza in città per alcuni periodi. Durante i mesi delle lezioni si dedicava solo allo studio, mentre d’estate cercava puntualmente un posto nei cantieri. Ad un certo punto anche il padre si decise a concedergli un piccolo aiuto, anche se non era disposto a coprire tutte le spese. Quegli anni, comunque, non furono facili per lei: lavorando solo d’estate i soldi a disposizione durante l’anno erano comunque sempre pochissimi e i sacrifici da fare molti. Spesso il cibo non bastava per il pranzo e riusciva a mangiare qualcosa solo a colazione e cena. Si trattava comunque di un’alimentazione estremamente povera: quasi mai la carne e spesso neanche l’enjera, nonostante sia uno degli alimenti principali della dieta etiope. Purtroppo, in questa già precaria e delicata situazione, sopraggiunse un altro drammatico evento, fonte di dolore e disorientamento per la ragazza: mentre frequentava il nono anno di scuola la madre si ammalò gravemente, fu ricoverata in ospedale ma inutilmente e in poco tempo morì. Una disgrazia per Tihitna e i suoi fratelli, un colpo duro da superare. La ragazza per un mese smise di seguire le lezioni e se ne tornò nel suo kebele d’origine, con il rischio di perdere un anno. Dopo quella grande perdita lei, il fratello e la sorella cominciarono a vivere tutti insieme, in condizioni sempre più precarie. Dopo il matrimonio del ragazzo, però, la situazione si complicò ulteriormente perché la moglie non vedeva di buon occhio la presenza in casa delle sorelle del consorte. La tensione era sempre alta, fino a diventare insopportabile tante da spingere la più piccola a cercare altrove lavoro come housemaid. “Io ne avevo passate già tante ed ero pronta a sopportare i comportamenti rudi della moglie di mio fratello, ma lei era giovanissima e non ce la faceva. Così se ne andò, trovò lavoro come domestica in una casa, ma non so dove. Da allora non ho più avuto contatti con lei”, spiega sommariamente senza soffermarsi sui dettagli e sui suoi sentimenti.

Un anno fa è arrivato il momento di scegliere la scuola, dopo la formazione di base: a quel punto Tihitna si è buttata su un istituto tecnico e sull’indirizzo ‘Machining’ (Meccanica). Avrebbe voluto seguire un corso per infermiera ma quel genere di scuole costano troppo e lei non ha i soldi sufficienti: “Gli indirizzi tecnici sono più economici e questo che faccio io dura solo due anni, perciò l’ho scelto – puntualizza sorridendo dolcemente -. Non avrei potuto permettermi una scuola più costosa o la cui durata fosse di tre anni”. Pur di studiare si è accontenta dell’unico corso che le era accessibile anche se, rivela nascondendo vergognosamente il volto dietro le mani, non sa esattamente quale professione potrebbe fare da grande dopo tali studi. Nonostante tutto questo non la scoraggia poi molto e lei una sorta di progetto per il suo futuro in mente già ce l’ha, e anche abbastanza chiaro: “Vorrei lavorare per un ufficio governativo o una ditta privata, non importa molto il settore, e con i soldi che guadagnerei mi pagherei un corso serale che mi piace di più”. Non è una sprovveduta e sa bene che tutto ciò non è semplice da realizzare, ma la voglia è grande e il difficile passato non ha scalfito il suo ottimismo. È veramente convinta di voler metter in pratica questa idea, lavorare e studiare ciò che le piace, quando ne parla trasmette una gran forza d’animo che spinge a pensare che ce la possa veramente fare.

Camilla Corradini (Volontaria CVM in Etiopia)

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