Mancano due mesi e mezzo alla fine di questa esperienza e a me sembra di
aver iniziato da poche settimane. Pensavo che a così poco dalla fine sarei
stata completamente diversa. Pensavo che vivere in un paese come l’Etiopia, mi
avrebbe resa più forte, più positiva, più paziente, più riflessiva.
Invece no, non sono cambiata molto,
più che altro è cambiato ciò che ho intorno, ciò che vedo e ciò che vivo, come
il concetto di festa, come il Natale. Non ci sono in giro luci ed alberi addobbati,
non vedo persone vestite di rosso che portano ingombranti barbe bianche davanti
ai negozi, non ci sono file per farsi incartare regali, non ci sono regali, non
c’è la magica atmosfera natalizia e devo dire...menomale!
Sì, menomale perché come potrebbe essere il Natale europeo o americano qui?
In europa ci sono vari tipi di festeggiamenti, più o meno sfarzosi, con chi ha
tutto e può tutto e chi fa del suo meglio per avere un Natale dignitoso, chi è
felicissimo e chi si accontenta. Qui, invece, sarebbe una vera tortura, come è
una tortura tutto l’anno vedere adolescenti con in mano l’ultimo modello di
I-phone ed autisti ad aspettarli dentro una macchina che ha l’aria di costare
quanto una delle case che molti abitano alla quale si avvicinano bambini senza
scarpe e vestiti rotti sperando di ricavare 2 birr per un panino. Sarebbe
l’ennesima conferma che, per quanto possa far male il pensiero c’è una prima,
una seconda ed una terza categoria. Il Natale sarebbe un inferno: immagino i
ricchi della Addis bene, intenti ad organizzare un Natale da film con addobbi e
regali rigorosamente made in USA o in Italy. Immagino il ceto medio, pronto a rendere
la propria casa natalizia ed i propri figli felici il più possibile. Immagino
coloro a cui del clima natalizio non importa un tubo, perché sanno che ciò che
è veramente importante è costruirsi un futuro facendo lavori impossibili,
sopportando le circostanze peggiori,
facendosi coraggio, forse permettendosi un pasto diverso dal solito. Penso ai
figli di quest’ultimi camminare in strada sentendo l’odore del Natale senza
poterne assaggiare un po’.
Poi immagino una quarta ed una quinta categoria, immancabili in un paese
religioso come l’Etiopia. Alla quarta appartengono quelli che veramente
festeggiano, che siano ortodossi, protestanti o cattolici, quelli che pensano a
ciò che realmente si celebra a Natale, ossia la nascita di Cristo, avvenuta in
una stalla tra un asino ed un bue. Effettivamente se si pensasse a questa cosa
la metà delle persone di tutto il mondo non celebrerebbe il Natale perché, dopo
il battesimo, non è più entrato in una chiesa o perché semplicemente non crede.
L’altra metà farebbe dei celebramenti diversi da quelli abitudinari, magari
regalando ai figli un’esperienza nel mondo del volontariato, che in
quest’ottica, ha molto più senso di una play station.
Alla quinta categoria appartengono i musulmani, che non festeggiano il
Natale. È impressionante per me, nata e cresciuta in un paese Cattolico, dove
molti hanno l’esigenza di creare una distanza tra la propria e le altre
religioni, trovarmi in un paese dove in un tribunale trovi sul tavolo sia la Bibbia
che il Corano, perché e normale che sia così. Mi trovo in un paese in cui la Moschea
sorge a pochi metri dalla chiesa Ortodossa e la mattina puoi sentire i canti di
entrambe. Qui le feste Cristiane sono feste nazionali come quelle Musulmane. I
Musulmani fanno gli auguri ai Cristiani ed i Cristiani ai Musulmani.
Mi viene in mente una sesta categoria di persone, quelle che partecipano o
non partecipano e basta, senza pensare a fare tanto come la prima, senza il
bisogno di fare del loro meglio come la seconda, senza il problema di come
affrontarlo come la terza, senza dare un’etica al Natale come la quarta o una
motivazione religiosa come la quinta. Alla sesta categoria appartengono persone
che non esistono, è formata da quelli che potremmo diventare se potessimo
effettivamente cambiare. Niente eccessi, in positivo o negativo che siano,
niente sensi di superiorità o di inferiorità, nessun ragionamento filosofico o
religioso. Sarebbe bello festeggiare il Natale o non festeggiarlo come membri
sella sesta categoria, tutti uguali, tutti uniti, forse sarebbe un vero Natale.
In questo non sono cambiata, avevo bisogno del Natale e per questo lo passerò
in Italia tra panettoni ed addobbi, passeggiando tra le strade in festa della
mia bella Roma, circondata dalla mia famiglia. Una cosa però è cambiata in me e
si chiama riconoscenza. Mi sento fortunata e grata nel poter vivere tutto ciò
che vivo. Tutti i felici Natali passati non li ho meritati, mi sono
semplicemente capitati. Sarei potuta nascere a Sodo dentro un tukul senza
sapere cosa accade al di là del mare e probabilmente avrei apprezzato come
fosse oro la gallina magrolina e spennacchiata che i miei genitori avrebbero
comprato con i risparmi di un anno. È questa riconoscenza che mi fa vedere le
cose da un punto di vista diverso, così da sembrare che niente di tutto questo
io l’abbia mai vissuto veramente.
Auguro un buon Natale a tutti a partire da coloro
che lo festeggiano in grande, augurandogli soprattutto di rendersi conto di
quanto oro c’è nel caldo delle loro case.
Cristina Toppo
Volontaria Servizio Civile in Etiopia
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