Sono ormai giunto alla fine di questa
esperienza e sto trovando molte difficoltà a riuscire a dare una forma, a
tradurre in parole sensate tutto quello che mi sta passando per la testa, visto
che i pensieri per loro stessa natura non hanno nulla di concreto.
Semplicemente compaiono nella mente, spesso in contraddizione tra loro a
seconda dello stato d’animo del momento.
Al momento non riesco a rendermi
conto, in modo concreto ciò che lascerò in questo paese ma voglio ringraziare
tutti quelli che ho incontrato nel mio cammino, per avermi lasciato un qualcosa
di loro: un semplice saluto di uno sconosciuto per strada, il sorriso dei
bambini nelle passeggiate dopo le ore di lavoro, le innumerevoli persone
conosciute in molti dei luoghi visitati con cui poi ho avuto la possibilità,
con alcune di esse, di instaurare ottimi rapporti di amicizia, di confrontarmi
o di conoscere semplici racconti di vita.
Facendo una carrellata di tutti i
miei stati d’animo che si sono succeduti in questi mesi, diverse sono state le
mie sensazioni su questa esperienza. Periodi di forte scoramento in cui è stata
forte la sensazione di mollare tutto e tornarsene a casa, in un contesto familiare,
dove ti senti completamente a tuo agio,
perché conosci perfettamente tutto quello che ti circonda. La difficoltà di
comprendere alcuni gesti, alcune espressioni e modi di fare che rendono
meravigliosa la loro cultura mi ha fatto spesso sentire solo nonostante fossi
sempre in mezzo ad altre persone. Tutto ciò è stato dovuto in particolare alla
difficoltà di comunicare con chiunque entrassi in contatto. La mia totale
incapacità di comunicare in amarico e la difficoltà per loro di comunicare in
inglese, ha rallentato il mio processo di inserimento nella loro cultura.
Fortunatamente, non sono invece
mancati momenti di grande entusiasmo grazie a tutte quelle esperienze che in
Italia mai avrei avuto la possibilità di poter fare come aver potuto fare un
reportage fotografico di una prigione e conoscere le donne di una tribù per
capire i loro problemi e le difficoltà che devono affrontare quotidianamente
come il non farsi mangiare dai coccodrilli ogni volta che prendono l’acqua al
fiume ed insegnare l’inglese a delle bambine che vivono in una casa famiglia.
Ero partito per questa esperienza
pieno di dubbi, inconsapevole di cosa mi avrebbe riservato questo anno della
mia vita e chiedendomi se non fosse stato più giusto investirlo in un altro
modo, come ad esempio cercare una stabilità ed un equilibrio duraturo. Infatti
non appena tutto questo sarà finito le paure per il domani riemergeranno, ma so
con certezza che questi 12 mesi non sono stati affatto sprecati, perché ora
guardo il futuro con più consapevolezza riguardo i miei obiettivi e le mie
aspettative, dandomi la forza di affrontare sfide che solo un anno fa non ne
avrei avuto il coraggio.
Marco Angelucci
Volontario Servizio Civile in Etiopia