martedì 12 aprile 2011

Quando le parole stanno strette


Trasmettere attraverso parole la realizzazione di un proprio sogno non è compito facile, ma a mio avviso doveroso per raccontare un’esperienza unica e, seppur da una prospettiva soggettiva, una realtà tanto complessa quale quella africana.

È una sensazione strana scrivere da questo posto... un luogo che ha realizzato l’immaginario africano costruito nel corso delle mie esperienze e dei miei studi... è Bagamoyo, piccola cittadina sulla costa tanzaniana, ex capitale durante la colonizzazione tedesca, punto di raccolta e partenza degli schiavi per essere venduti a Zanzibar e successivamente nell’estremo oriente. Cittadina è un termine poco appropriato per descrivere una realtà che rimane povera e piuttosto rurale, ma il termine villaggio indica un contesto ben diverso da quello in cui vivo ora. Qui le abitazioni sono in cemento, alcune di fango e pietre, sorrette da pali di legno e coperte da rami di palme intrecciati; la maggior parte delle vie sono sterrate, per lo più coperte di sabbia; buona parte delle case non hanno elettricità né acqua. Un’infinità di attività commerciali diverse costeggia le strade principali: dalla vendita di frutta e verdura, di piccoli oggetti per la casa, abbigliamento di vario tipo, in particolare kanga e kitenge (gli abiti tradizionali locali) e numerosi punti di ristoro dove sorseggiare una bevanda fresca e gustare qualche piatto tipico locale.

Appena fuori Bagamoyo, percorrendo la strada principale (asfaltata) che porta a Dar Es Salaam, si è circondati da una fitta vegetazione ricca di palme, che svettano alte sopra gli arbusti, e di maestosi mango trees, gli alberi che offrono sollievo alla pesante calura delle ore centrali. Di tanto in tanto, da entrambi i lati, è possibile accedere per mezzo di stradine sterrate ai vari villaggi che popolano la costa del Distretto di Bagamoyo. Ho avuto il piacere di visitare alcune delle comunità costiere subito al mio arrivo: guidata dallo staff CVM, il secondo giorno ero già alla scoperta di un nuovo mondo, del progetto, delle persone in esso coinvolte, dei loro volti, delle loro necessità. Mlingotini, Pande, Kondo, Mapinga, Kiharaka sono i nomi di alcuni di questi luoghi: piccoli centri abitati con poche case, o capanne, una chiesa, una moschea, piccole attività commerciali che vendono prevalentemente frutta e ortaggi, uno, al massimo due punti di ristoro. In strada, capannelli di ragazzi che, all’ombra di un albero, sono in attesa che qualcuno abbia bisogno di un passaggio sul proprio piki piki (motocicletta, molto diffusa come mezzo di trasporto locale), donne che fanno il bucato, preparano cibo o trasportano acqua con enormi secchi fermi sulle loro teste, bambini che giocano ai bordi delle strade o davanti le proprie case, rincorrendo una palla fatta di stracci cuciti insieme o il copertone della ruota di una bicicletta.

In spiaggia, pescatori che riparano barche, ne costruiscono di nuove, vanno in mare a gettare le reti e donne che li aiutano nel trasporto e nella vendita del pesce. Le persone mi guardano e accennano un sorriso sulle labbra, i bambini gridano “mzungu” (straniero) e mi fissano come se fossi un’aliena, sembrano incuriositi dal vedere una bianca nel loro villaggio, si raggruppano e sorridono insieme divertiti dall’ “evento”. È qui che vivono i beneficiari del nostro progetto, in particolare donne e persone sieropositive. È qui che il problema dell’HIV è seriamente diffuso a causa della mancanza di educazione e conoscenze adeguate sulla trasmissione del virus.
È stato sorprendente vedere come le persone chiamate a far parte dei comitati beneficiari dei corsi di formazione siano consapevoli del problema e si dimostrino così decisi e attivi nella battaglia contro l’AIDS. Vedere l’attenzione, la partecipazione, la volontà di imparare, agire e insieme trovare una soluzione fa pensare che siano proprio i villaggi il punto di partenza affinché si possa innescare un processo positivo di responsabilizzazione delle comunità locali verso la prevenzione dell’HIV/AIDS. La forza dei comitati risiede proprio nel coinvolgimento delle figure principali e più carismatiche di ciascun villaggio, promuovendo il dialogo e lo scambio reciproco: membri del consiglio di villaggio, l’autorità governativa, leader locali, rappresentanti di persone sieropositive, donne, giovani, capi religiosi di diverso credo sono chiamati insieme a confrontarsi per individuare le problematiche del proprio territorio e, con le risorse disponibili, pianificare un’azione congiunta per ridurre la diffusione dell’epidemia, che in queste zone raggiunge una percentuale del 10%.

Alla conclusione di uno dei primi corsi che CVM ha promosso in questa zona, un anziano signore, membro del comitato di villaggio, ha preso la parola e ha incoraggiato i suoi compagni con queste parole: “Siamo uniti, rispettiamo e seguiamo quello che ci è stato insegnato, agiamo!” È proprio questo lo spirito che il CVM e i partner locali promuovono nella popolazione locale in modo tale che in futuro possa nascere, partendo dal basso, una nuova consapevolezza riguardo il virus dell’HIV e un’azione attenta alle specifiche esigenze di ogni area.

Valentina Romagnoletti
(Volontaria in Servizio Civile, Tanzania)

Nessun commento: