Parlare amarico per uno straniero è impresa ardua e dopo due mesi che sono qui in Etiopia riesco solo ad afferrare qualche parola: quando ho sentito i colleghi del CVM dire che saremmo andati alla marmia bet, mi è quindi sembrato strano. Una affrettata traduzione in italiano potrebbe indicare la casa del miele –mar miele bet casa. In realtà qui in Etiopia la casa del miele non ha nulla di dolce, infatti in amarico indica la prigione ed una giusta traduzione potrebbe essere: un posto dove si entra in un modo e si esce migliorati.....
CVM porta avanti diversi progetti in tre prigioni nella zona di Debre Marcos –regione Amhara Etiopia- e lavora anche qui con la parte più debole della popolazione carceraria, cioè con le persone malate di HIVAIDS che sono per lo più maschi, donne e bambini, bambini che scontano la pena delle madri insieme a loro. Infatti in Etiopia le donne che scontano una pena in prigione sono per la maggior parte divorziate ed abbandonate dalla propria famiglia e, se non hanno nessun posto dove lasciare i propri figli, li portano con loro, in Etiopia infatti non esistono molte strutture adatte ad ospitare bambini.
Inoltre una volte uscite dal carcere, le uniche possibilità per le donne sono quelle di diventare donne di servizio - che in Etiopia è praticamente una schiavitù, o prostitute.
Gli interventi del CVM sono volti ad evitare questo destino comune a tutte le prigioniere e a dare la possibilità di lavorare all’interno del carcere per mettere da parte quel minimo che serve per far fronte sia ai bisogni quotidiani, come il lavarsi e vestirsi che alle emergenze, come il frequente bisogno di medicinali. Attraverso diversi tipi di training e all’avviamento di IGA, all'inizio offre materiali e formazione e poi una serie di sostegni, a cominciare dalla possibilità di aprire un conto personale. Adesso le detenute hanno un conto in banca comune ed uno personale e producono oggetti, abiti tradizionali e strumenti per la preparazione dell'ingera, il piatto nazionale etiope.
Tutte le donne sono state visitate e hanno fatto il test del HIV, e fortunatamente nessuna è risultata positiva: le persone supportate dal CVM che vivono con il virus dell'AIDS sono tutti uomini. Per loro è stata realizzata una piantagione all'interno della prigione e da un anno riescono a guadagnare 10.000 birr l'anno attraverso la coltivazione degli alberi di mele. Per altri invece si è organizzata una formazione per barbiere e si forniscono materiali per avviare l'attività di barbiere anche dentro il carcere.
Oggi dunque è indetto un meeting alla marmia bet per analizzare la situazione e vedere come vanno le cose, a cui partecipiamo io e Simeneh, Child and IGA Facilitator del CVM di Debre Marcos, che tra le altre numerose mansioni, è incaricato di seguire i progetti della sezione femminile della prigione. La sezione femminile del carcere in tutto misura non più di 400 mq, 200 dei quali all'aperto. E' formata da 2 verande dedicate in parte alle attività lavorative delle prigioniere, uno stanzone di 20 metri quadri con docce e bagni che lascio all’immaginazione, un piccolo appezzamento di terra coltivata, una recinto per i polli, una stanza di 20 mq per le guardie e infine due stanze di 40 mq – provviste di sola porta e niente finestre - per le detenute e alcuni dei loro bambini, 42 donne e 15 bambini.
Le due stanze sono stracolme di letti, vestiti appesi con delle corde calano dal soffitto, quando sono tutte dentro non si può camminare perchè occupano completamente tutto lo spazio, le più fortunate hanno un materasso di paglia, mentre le altre dormono direttamente per terra.
Qui io e Simeneh incontriamo Miheret Zelke, una donna di 26 anni che ne dimostra almeno 40. Probabilmente non avrà precisamente 26 anni, perchè qui in Etiopia è difficile trovare una persona sicura al 100 % della propria età, non essendoci registrazione immediata della nascita. Ora Miheret Zelke è la persona di riferimento del CVM nella prigione, ne ha frequentato tutti i training e ha la funzione di rappresentare le altre detenute. Deve scontare una pena di 18 anni, di cui 8 anni e tre mesi già trascorsi in prigione, per aver fatto quello che molti mogli e mariti almeno una volta nella loro vita hanno pensato di fare. Miheret ha ucciso con un'ascia la suocera dopo una violenta lite, scoppiata perché la suocera insisteva nel convincere il figlio a lasciarla per risposarsi con una donna più ricca. Con il marito ha avuto tre figli, due dei quali, che hanno 13 e 10 anni, non vede, come del resto non vede il marito, da quando è entrata in prigione. I figli non la riconoscerebbero neanche, così come la terza figlia, nata in carcere, non ha mai visto nè il padre nè i fratelli. La bambina, che ha 7 anni e 8 mesi, ha vissuto con la madre per tutta la sua giovane vita ed è destinata a vivere così finchè la madre non finirà di scontare la pena, non avendo nessuno fuori della casa del miele che si possa occupare di lei. Esce ogni giorno per quattro ore accompagnata da un altro prigioniero che la porta dalla prigione all'asilo dove rimane dalle 8 alle 12 dal lunedì al venerdì. In realtà dovrebbe già frequentare la prima elementare, che probabilmente inizierà l'anno prossimo, ma la dura realtà di un'infanzia in prigione le ha lasciato ferite psicologiche difficilmente guaribili che la lasciano indietro rispetto agli altri bambini della sua età.
D'altronde cosa si può aspettare da una bambina che non ha mai conosciuto la vita fuori dalla prigione - e di una prigione come questa- non ha mai vissuto la vita della comunità e non ha mai conosciuto i fratelli e il padre?
Durante la nostra chiacchierata Miheret ribadisce più volte come sia grave il problema dell'igiene: infatti specialmente durante la notte quando le prigioniere non possono uscire dalla loro stanza, queste sono costrette a fare i loro bisogni in bacinelle, la diarrea è frequente e quindi è facile capire come sia semplice soprattutto per un bambino ammalarsi nella prigione. All'interno del carcere c'è un centro sanitario ed un dottore che si occupa delle vaccinazioni, ma se il problema è grave, è necessario il ricovero all'ospedale, cosa permessa, ma il più delle volte troppo onerosa per le detenute che non hanno i soldi per comprarsi le medicine di cui gli ospedali etiopi sono cronicamente privi e che bisogna acquistare nelle farmacie private.
Miheret continua a dirci, con qualche pausa dovuta forse al fatto che siamo guardati a vista da una guardia che non sembra tanto gentile, che mancano i letti, il sapone, le medicine e i vestiti, che i bagni e la situazione sanitaria sono a dir poco precarie. Grazie alle attività intraprese con il sostegno del CVM, lei è almeno in grado di comprare sapone, vestiti e medicine per lei e sua figlia. Con i corsi del CMV ha acquisito delle competenze che le hanno permesso di realizzare dei prodotti e di venderli, e così è riuscita addirittura a risparmiare 4000 birr depositati nel conto in banca personale. Miheret non manca di ricordarci poi quanto sia grata al CVM, perché quando uscirà, avrà la possibilità di lavorare e potrà offrire una vita normale a sua figlia. Sa di aver fatto del male, ha accettato la sua pena, ed è consapevole dell'importanza di poter contare su una propria attività, quando uscirà dalla prigione.
Raffaele Fischetto (Volontario CVM in Etiopia)