lunedì 5 settembre 2011

Il lavoro in fattoria



Camminando per Ayeho, una kebele in Awi Zone, sembra di rivivere una novella verghiana. E' roba di Al-Amoudi, è tutta roba sua..dello sceicco Al-Amoudi, l'uomo più ricco d'Etiopia e il 63° uomo più ricco al mondo come dichiarato dalla rivista americana Forbes. Ad Ayeho ha comprato tutto il territorio disponibile ed, ora, ospita nella sua tenuta una scuola, degli uffici di amministrazione municipale, una stazione di polizia e un'immensa fattoria, coltivata con mais, girasole, banane, mango, arance.

Ayeho è una kebele di 65,68 kmq, dieci anni fa è stata acquistata e trasformata in una fattoria "Ayeho Agricultural Development Organization", proprietà del suddetto Al-Amoudi. La fattoria è molto vasta, percorrendo la strada sterrata che vi si inoltra, dopo un quarto d'ora di tragitto in macchina, ci si trova davanti un cancello che blocca la strada, ma il passaggio è lasciato aperto poiché la sbarra è alzata abbastanza da permettere il transito. Subito dopo inizia il villaggio di Ayeho, appaiono case e minuscoli negozi, tra i campi, sui bordi della strada e vi si trovano anche gli uffici dell'amministrazione municipale, la polizia, la scuola, quelle piccole istituzione che dovrebbero servire la comunità...eppure è strano trovarle all'interno di quel marchio di proprietà posto dalla sbarra.

Gli abitanti sono 7880 (di cui 4175 donne), vivono in case di terra e legno poiché è proibito edificare costruzioni in cemento in quella proprietà, agli abitanti, che sono quasi esclusivamente lavoratori della fattoria, è anche proibito allevare animali poiché non è concesso loro di sfruttare in alcun modo il territorio in cui risiedono. Inoltre molti di questi lavoratori provengono da altre zone, non hanno quindi un tessuto sociale che possa sostenerli in caso di bisogno, tutto ciò rende le condizioni di vita estremamente precarie, una donna si esprime così: "noi stiamo lavorando qui soltanto perché non abbiamo altro di che sopravvivere, non c'è altro".

Eppure qui manca la voce narrante siciliana che dipinge con sincera pietà le ingiustizie e le tribolazioni di chi quella roba non l’ha, ma la lavora...In Etiopia lo sceicco è noto come filantropo e benefattore del suo Paese benché, nella sua fattoria ad Ayeho, i lavoratori sono assunti per contratti trimestrali con paghe giornaliere che vanno dai 12 ai 15 birr lordi (circa 50 centesimi di euro) a secondo delle differenti mansioni per cui si è assunti: segretarie, manovali, coltivatori, personale per le pulizie, etc..


I lavoratori possono essere assunti con due tipi di contratto: assunzione a tempo parziale o permanente. La prima forma di contratto è rinnovata trimestralmente ed espone i lavoratori ad una continua precarietà. Spesso i contratti sono rinnovati consecutivamente, anche per diversi anni di fila, così lo sceicco si assicura di potersi liberare di dipendenti inutili in modo celere (in Etiopia le leggi per il licenziamento sono al quanto rigide) e di conservare a costi minimi solo il personale più efficiente. La condizione di questi lavoratori è terribile, la maggior parte di loro è donna, per cui oltre al lavoro nei campi assolve tutti quegli oberi domestici che le comportano ulteriori fatiche.

L'Etiopia ha ratificato la convenzione di ILO (International Labour Organization) per cui, per legge, l'orario lavorativo giornaliero non può superare le 8h con almeno un giorno di riposo settimanale ed ai lavoratori deve essere garantita l'assicurazione sanitaria e la maternità. Tutto ciò è riconosciuto dalle condizioni contrattuali, ma nella realtà i manovali ed i coltivatori assunti qui lavorano 11h al giorno, senza pausa per il pranzo, le donne hanno riferito che non è concesso loro neppure di fermarsi per bere, questo è un privilegio maschile. Inoltre, benché le condizioni salariali siano definite a giornata, il personale che lavora meno di 20 giorni al mese non riceve alcun retribuzione mensile.

Per ovviare alla possibilità di dover pagare la maternità alle sue dipendenti lo sceicco fa eseguire un test di gravidanza pre-assunzione, ed infine, benché tutti contribuiscano alla copertura assicurativa sanitaria, pare che ne riescano a beneficiare solo i lavoratori permanenti o quelli con buoni contatti con la direzione.

Inoltre, una parte dello stipendio è in natura, mensilmente vengono elargiti 50kg di mais di seconda qualità ad ogni lavoratore come equivalente di 68 birr di salario. Ogni anno, durante il raccolto del mais, quello di scarto viene immagazzinato e lentamente sarà smistato al personale. In questo modo, il filantropo si assicura un congruo profitto da mais di cattiva qualità che avrebbe fatto fatica a vendere, ricavandone 68birr mensilmente da ogni lavoratore, senza sostenere alcun costo di trasporto.


Il CVM sta svolgendo un training sui diritti del lavoro e della donna e la prevenzione dell'HIV/AIDS per venti lavoratrici a giornata di questa zona. Il training si indirizza specificatamente alle donne perché normalmente vengono sottopagate rispetto agli uomini in questo genere di mansioni.

In questo caso, l'esistenza di un contratto previene queste lavoratrici da tale rischio, ma le donne ci raccontano che ciò avviene lo stesso, per vie trasversali, gli uomini ricevono mensilmente dei bonus (ad esempio: una borsa di vestiti nuovi) che non viene loro distribuita. Esse aggiungono che tutti i lavoratori a giornata sono sottoposti al controllo di "cabò" (devo dire che il termine mi impaurisce), ogni cabò è responsabile di supervisionare 150 braccianti circa, li sprona al lavoro, li rimprovera e segnala il loro andamento. Solo gli uomini possono essere cabò, a volte, abusano delle donne, e loro non hanno parola, accade senza che nessuno lo denunci.

Questa zona è piena di boschetti, di campi di alti girasoli e mais, qui, di sera è facile nascondersi, molti sono gli stupri commessi all'imbrunire. Le donne non possono aggirarsi sole dopo il tramonto, ma le distanze da compiere per raggiungere la propria casa dopo il lavoro sono ampie e capita di attardarsi troppo, gli uomini approfittano di ciò anche perché la polizia non è attiva nel bloccare questo genere di reati. Le donne non possono vivere sole, per questo i matrimoni precoci sono frequenti.

Ma nessuno sembra interessarsi a questa moltitudine di ingiustizie e violenze, dopotutto è la fattoria di un filantropo, gli uffici amministrativi non hanno quasi nessun dato sulla reale situazione della kebele e sembrano dirigersi qui solo per la distribuzione di pesticidi anti-malarici.

Una di queste donne ci dice "noi siamo senza voce, nessuno ci pone attenzione", ora lo staff del CVM sta preparando degli incontri con gli uffici di woreda e di zona per tentare un coordinamento.

Penso a quei 50 kg di mais di scarto che i lavoratori si devono portare a casa ogni mese e ci vedo qualcosa di molto perverso, ci vedo la negazione di ciò che dovrebbe essere. Un'alternativa sincera sarebbe la produzione per se stessi, l'autogestione, la formazione di cooperative di agricoltori e l'espropriazione almeno di parte del territorio. Si dovrebbe tentare la gestione diretta della terra che si abita per rispondere alla precarietà a cui la povertà espone.. il governo avrebbe anche il potere di farlo, ma, la "Ayeho Agricultural Development Organization" appartiene ad un Tal dei Tali.



Benedetta Sercecchi

(Volontaria CVM in Servizio Civile - Etiopia)

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