Una mamma e una figlia parlano del futuro, come in ogni paese del mondo; ma in questo paese la mamma parla a Tigisti, la figlia appena dodicenne, della possibilità di sposarsi come unica soluzione alla povertà che la circonda. Tigist si confronta al riguardo con le sue amiche a scuola che le consigliano di fuggire dal villaggio rurale in cui vive per evitare di venir sposata a un uomo adulto precludendosi la possibilità di crearsi una propria autonomia studiando e lavorando. Fuggendo magari in una grande città, le consigliano le amiche, troverebbe un lavoro, magari in un bar, e sarebbe felice. Tigist arriva in città ed effettivamente un lavoro lo trova facilmente, presso una famiglia, come donna di servizio. Le offrono un tetto sotto cui dormire e dei pasti caldi in cambio del lavoro domestico. Le sembra una buona opportunità. Ben presto però Tigist si accorge di non avere per le mani quello che si aspettava, gli orari di lavoro sono prolungati, i riposi inesistenti, il carico di lavoro smisurato. La padrona di casa inizia a mal trattarla e il figlio maggiore abusa più volte di lei. Un giorno, esausta per la situazione che sopporta quotidianamente, decide di abbandonare l’abitazione in cui lavora e di fare ritorno al suo villaggio, a casa sua. La gravidanza indesiderata e frutto di un abuso è un tabù che non può affrontare in casa quindi, sempre sotto consiglio delle amiche, si reca da un wogesha ossia il “medico” del villaggio che le da un infuso di erbe locali da bere per perdere il bambino che porta in grembo. La bambina-madre fa quindi ritorno a casa e dopo aver salutato la famiglia si chiude in una stanza per assumere la medicina preparatale dallo stregone. Dalla stanza proviene un urlo, un gemito e poi più nulla. Tigist è morta, avvelenata.
Tigist in questo caso è il personaggio interpretato da Tena, una bambina della Brue Tesfa,
l’associazione di bambini orfani a Debre Marcos. I bambini dell’associazione hanno
preparato questa recita per dare il benvenuto al gruppo Teatro Verde che per due settimane
lavorerà con loro per scoprire come il teatro e l’attività creativa in generale possa aiutare nell’elaborazione dei traumi in situazioni problematiche come la vita di un bambino orfano in un paese povero come l’Etiopia. La storia di Tigist è purtroppo la storia vera di migliaia di bambine e ragazzine etiopi che per sfuggire a situazioni disagiate finiscono per vivere vere e proprie tragedie a causa di diverse ma altrettanto difficili condizioni di vita e di lavoro. Tigist non è quindi un personaggio frutto della fantasia di un “regista” ma è la pura realtà che questi bambini si trovano davanti agli occhi ogni giorno. La tranquillità, la naturalezza e la serenità con cui i bambini recitano questa trama mi lascia intuire quanto questa storia si ripeta quotidianamente nelle loro piccole vite; le loro risate davanti allo stupro e alla morte della ragazza si potrebbero giustificare con scuse come superficialità o incomprensione dovuta alla tenera età degli spettatori, o forse dovrei dire che sarebbe bello poterle spiegare così. La realtà purtroppo è diversa. La realtà è che ridono di fronte a queste scene per sdrammatizzare la sofferenza che portano dentro di loro. Ridono per poter affrontare l’oggi e arrivare al domani. Ridono e mettono le loro vite in una rappresentazione teatrale per esternarle, per affrontare e poi provare a rielaborare tabù e realtà che sono insite nelle loro vite.
Il lavoro del gruppo di teatro comincia. I bambini pian piano entrano in sintonia e in relazione con i nuovi arrivati che parlano una lingua strana (“se magna”?), hanno la pelle bianca (con numerosi puntini rossi … a causa delle pulci) e fanno cose strane come urlare, camminare sulle mani o tenere un legnetto sul naso alla cui sommità gira un piattino colorato. L’amarico e l’italiano si mescolano con un pizzico di inglese (q.b.) fino a ottenere un variopinto vocabolario di
neologismi che solo chi frequenta questo gruppo variegato può veramente capire. Fin da subito si fanno protagonisti i bambini dei quali risaltano i particolari caratteri che verranno poi associati con i personaggi da interpretare. Alla fine delle due settimane Negus sarà un perfetto Hansel e Desta sarà Gretel. Nasanet e Abaynesh interpreteranno la doppia natura della strega. Negus sulla scena sarà un bambino abbandonato come lo è nella vita. Ma nella vita vera lui una sorella non ce l’ha. Ha solo una povera e anziana nonna che lo ha accolto quando la madre è morta di AIDS e il padre, militare, è andato via senza più dare sue notizie. La nonna vive vendendo semi bolliti vicino al mercato. Negus si occupa di tutto in casa, pulisce, lava, raccoglie la legna e aiuta la nonna cucinando quel poco cibo che quotidianamente possono consumare. Negus ha 12 anni ma a vederlo sembra averne massimo 7. Quando con Ennio andiamo a visitare la sua casa per fare alcune riprese la nonna ci racconta di come, nonostante i vicini le consigliassero di abbandonare sulla strada quel bambino che crescendo malato e irregolare nel suo sviluppo le toglieva solo le ben poche risorse, con enormi sacrifici e con l’aiuto di
altrettante buone persone sia riuscita a farlo sopravvivere e guarire. Negus sarà il protagonista sulla scena del teatro ma la nonna non potrà assistere allo spettacolo altrimenti quella sera cosa mangeranno lei e Negus?
Una altra ragazzina della Brue Tesfa non avrà parenti alcuni a vederla muovere le braccia come foglie mosse dal vento nel bosco di Hansel & Gretel. Si chiama Zahara, ha 19 anni ma è ancora minuta. Ha la pelle rovinata, gli occhi doloranti ma cerca di sempre di nascondere la sofferenza dietro un flebile sorriso. Vive da sola in una stanzetta in affitto sul retro di una casa nel sobborgo di Debre Marcos. Nella sua stanza, appese alla parete, si scontrano versi di preghiere, foto di coppie innamorate e frasi malinconiche con una marcata ridondanza sulla relazione madre e figlia. Non c’è speranza in quella stanza, nemmeno una briciola. Zahara ha visto morire la mamma e sa anche di avere la sua stessa malattia. Conosce bene quello che l’aspetta ed è convinta anche che non c’è posto per la speranza. Va a scuola, cerca con tutte le sue forze di costruirsi il suo domani, prende le medicine e ringrazia tutti quelli che credono e vogliono credere nel suo futuro, ma la stanza dice anche quello che lei non ci dice. Lei vuole guardare avanti e vuole imparare a sperare ma quando troppo spesso il passato, come una spina
di un rovo quando si passeggia nel bosco, le prende un lembo del vestito e tira in direzione contraria, e tira tanto forte che ogni volta le strappa un pezzettino di quel bel vestito a fiore e toppe.
Ogni tanto, durante le prove, compare un ragazzetto basso e magro con degli occhialetti calati sul naso e una bicicletta sempre con se. È Tesfaye, ha 21 anni e studia infermieristica all’ospedale di Debre Marcos. Anche lui è un membro della Brue Tesfa. Si preoccupa che tutto vada bene, essendo uno dei più grandi tra gli orfani della associazione si sente un fratello maggiore e si comporta di conseguenza supervisionando i piccoli. Tesfaye ha perso la mamma quando era poco bambino, non si ricorda molto; di lei sa quello che gli hanno raccontato vicini e parenti. Pare
sia morta per liberare la sua famiglia da una profezia predetta da un wogesha secondo la quale con la sua morte avrebbe salvato 7 generazioni da lei discendenti. Per amore della famiglia la donna si sarebbe quindi suicidata lasciando i figli orfani di madre. Lasciando aperta una porta su altre possibili interpretazioni (come malattie talmente tabù da preferire un suicidio alla verità) rimango comunque esterrefatta dalla crudeltà subita dalla donna.
Arriva il giorno dello spettacolo finale, i bambini, chi più e chi meno, hanno lavorato arduamente per due settimane ininterrotte alla preparazione di un Hansel & Gretel rivisitato e riadattato. Nella versione etiopica i due fratellini vengono presi in trappola dalla
strega non attratti da una casetta di marzapane e cioccolato bensì da olio, carne e zucchero, beni di primissima necessità altamente desiderabili e desiderati dalla popolazione a causa di indisponibilità sul mercato. Lo spettacolo è poi stato arricchito con intermezzi di
giocoleria e di teatro comico per dare spazio a tutti le diverse abilità personali dei piccoli attori.
All’esibizione accorre un vastissimo e caloroso pubblico attirato al teatro dalla musica e dalle esibizioni di giocoleria per la strada. Nonostante lo spettacolo sia di bambini per bambini, oltre a un elevato numero di orfanelli di strada tra il pubblico si trovano altrettanti adulti, uomini e donne. Tra questi riconosco due ragazze. Le abbiamo intervistate qualche giorno prima e lavorano in un bar. Una di loro è la presidentessa dell’associazione di ragazze che lavorano nei bar creata con l’aiuto del progetto CVM. Queste ragazze hanno una storia simile a quella di Tigist, spesso infatti fuggono dai loro villaggi per cercare una alternativa alla povertà che le circonda sperando di trovar fortuna nelle grandi città. Una volta arrivate nei centri urbani finiscono nella rete dei broker e vengono sfruttate con condizioni disumane o come domestiche o come prostitute. La quasi totalità delle volte che una ragazzina (la maggior parte sono tra i 12 anni e i 25) viene ingaggiata come cameriera in un bar lavora senza una retribuzione e con la sola promessa di un letto in cui dormire e il vitto da pagare a parte. L’unica retribuzione che ottengono, una volta dedotta la percentuale dovuta al proprietario del bar, è quella derivante dalla vendita del loro corpo. Quando accettano questo lavoro, per il quale non hanno molta alternativa, mettono in serio pericolo la loro stessa vita; la maggior parte di loro di fronte al cliente non ha alcun diritto, molte volte rischiano di non essere nemmeno pagate o di non aver la possibilità di proteggersi dalle malattie attraverso l’uso del preservativo. Parlando con alcune di loro sono rimasta colpita e anche sinceramente piuttosto amareggiata dalle loro visioni, dalle loro speranze per il futuro; Meseret infatti mi racconta che essendo la povertà molto diffusa anche la prostituzione risente di un calo di mercato e che, per questo motivo, spera di riuscire ad andare a lavorare in un bar più grande dove i guadagni per le sue prestazioni sono maggiormente retribuiti. Quando siamo andati a trovarle nel bar dove lavorano per renderci meglio conto della realtà in cui lavorano e vivono siamo rimasti colpiti dai tratti
somatici della bambina che una di queste ragazze-cameriere-prostitute portava legata dietro la
schiena: la piccola ha i lineamenti marcatamente cinesi.
Marta Bonalumi
(Volontaria CVM in Servizio Civile - Etiopia)
(Volontaria CVM in Servizio Civile - Etiopia)
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