Ci sono pacchi di berbere, sorta di peperoncino locale, di shero, per preparare la tipica salsa nota come shero wat, e poi ci sono le materie prime da lavorare: meser, ater e altri cereali, legumi, frutti della terra etiope. Tutto ciò fa bella mostra di sé tra gli scaffali dell’angusto, eppur ben fornito, negozio alimentare messo su e gestito dai 26 membri, tutte donne, della Bezawit PLWA’s Association, nata lo scorso anno e presto unitasi in un network con altre associazioni simili, tra le quali anche una sorta di controparte maschile, una federazione chiamata Beza RINA (dove RINA sta per Ransom Integrated National Association).
Si tratta, insomma, di una rete ormai ben strutturata, ufficialmente riconosciuta dal Governo mediante apposita licenza; associazioni che hanno mosso i primi passi con l’aiuto del CVM, da cui la Bezawit ha ricevuto un capitale iniziale di 21.600 birr, somma che comprende pure i 400 birr destinati a ciascun membro per le proprie attività individuali. È stato sempre il CVM a fornire a queste donne sieropositive i metodi per implementare e proseguire la propria impresa commerciale, attraverso appositi Management Training: sarebbe a dire i Revolving Funds, attraverso cui diversi membri di una stessa comunità si rendono responsabili nei confronti di altri per la restituzione dei prestiti ricevuti, parte dei profitti che questi ultimi hanno generato e che i secondi potranno in questo modo creare mediante altre attività artigianali e commerciali, cioé le IGA (Income Generating Activities), in una sorta di circolo virtuoso, dando per assodato il reciproco rispetto dei vari gruppi della stessa comunità. Senza dimenticare il fondamentale supporto dei locali HAPCCO (HIVAIDS Prevention and Control Council Office), organi governativi che intrattengono strette relazioni con il CVM per vari progetti, le donne della Bezawit possono vendere non solo i prodotti alimentari che esse stesse preparano, ma anche tessuti ed abiti tradizionali, usati in particolare in occasione delle cerimonie religiose.
Tuttavia, si è sempre in un contesto a dir poco problematico e le difficoltà non mancano, come ci rivela una delle associate alla Bezawit, mentre ci introduce al piccolo magazzino dietro al negozio: “Ci sono problemi d natura economica, perchè i prezzi delle materie prime da un po’ di tempo sono aumentati, riducendo i nostri profitti e la possibilità di avere più prodotti da vendere. Eppure vorremmo più spazio per il cibo da vendere; ma, come potete vedere, il negozio è molto piccolo e questo è un altro problema per noi.”
“Queste attività – conclude la stessa donna, non dimenticando la precedente condizione – ci hanno dato una nuova speranza. Perciò, siamo felici e, quando le limitazioni che ho detto prima saranno superate, potremmo generare maggiori profitti per noi stesse e per la nostra comunità e pure realizzare un altro nostro obiettivo: lavorare in collaborazione con persone inabili ed altri gruppi vulnerabili.” La speranza e l’umana spinta ad aiutare il prossimo, pur nelle proprie difficoltà, non sottostanno alle leggi dell’economia né si curano delle tendenze inflazionistiche su scala mondiale. Grazie a queste spinte interiori, le persone che qui abbiamo incontrato hanno avuto ed hanno la forza di non arrendersi, di agire, dando vita ad un vero e propro contagio. Questo sì, davvero positivo.
Simone Accattoli
Volontario in Servizio Civile, Etiopia
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