Gulgula Kebele – Spring On Spot
Ci sono adulti e bambini, ragazzi e ragazze; chi ci dà dentro con la zappa e chi, soprattutto i più giovani, va avanti e indietro senza sosta alcuna, sulla propria testa un vaso o un contenitore in plastica. E ancora, c'è chi dirige, chi ne approfitta per avere un po' di refrigerio e chi temporeggia nell'attesa di trovare il modo per rendersi utile. C'è insomma un'intera comunità, un'umanità operosa in questa vallata che si apre dinnanzi ai miei occhi, qui nella Southern Nation Region, sud-ovest dell'Etiopia. É la gente di Gulgula, piccola kebele nella Zona del Wolayita, ed il loro agire comune è in nome di quell'elemento che da sempre è sinonimo di vita, ma che da queste parti rappresenta soprattutto un enorme problema: l'acqua.
É qui che il CVM ha avviato, a metà febbraio, la costruzione di un SOS (Spring On Spot), che letteralmente sta per “Sorgente d'acqua sul posto”, vale a dire un sistema per l'incanalamento dell'acqua da una fonte già esistente ed il suo successivo utilizzo in termini di potabilità, di igiene personale, come pure per il bestiame da allevamento, attività vitale, assieme all'agricoltura, per le circa 500 persone di questa comunità, che si alternano nei lavori, dando ciascuno il proprio contributo, come avviene oggi, perché per ciascuno di essi il completamento di tale opera, previsto nel giro di un mese o un mese e mezzo, significherà una vita un po' migliore di quella precedente.
“Finora, – ci confida Tesfaye, interrompendo per qualche istante il suo alacre scavare – abbiamo dovuto far fronte a diversi problemi per via di quest'acqua, che era piena di vermi e batteri. Questo ha causato diverse malattie alla nostra gente. Inoltre, dovevamo ogni volta condurre il bestiame a fonti d'acqua molto lontane da qui. D'ora in poi, questi problemi saranno risolti e potremo utilizzare in altri modi il denaro finora speso per le cure mediche, soddisfacendo bisogni alimentari e primari. Questa opera ci permetterà di risparmiare denaro e tempo: ad esempio, le nostre donne, invece di andare in altri villaggi a prendere l'acqua, come hanno sempre fatto, potranno rimanere qui e svolgere qui i loro lavori.”
In situazioni come questa, i termini “cooperazione” e “condivisione” cessano di essere meri concetti, scendono dall'Empireo per farsi phenomena, realtà concrete, visibili, finanche tangibili. Lo è la papaia che un uomo, la fronte perlata dal sudore e poco più su un cappellino della NBA, mi porge amichevolmente, dono dell'abesha (cioè l'Etiope) al ferengi (lo straniero) venuto da lontano. L'uomo si chiama Hailu ed è il franco muratore dell'opera, l'unico impiegato fisso assunto dal CVM, che pure stipendia altri due lavoratori giornalieri, spese abbastanza rilevanti per l'ONG italiana, se si considerano in aggiunta i costi per i materiali e quelli per il trasporto di questi da Sodo (il “capoluogo” di Zona, dove ha sede l'ufficio) a Gulgula, un totale di
Tutto ciò emerge dalle parole di Asefa, che, in qualità di leader del water committee appositamente formatosi e costituito da 7 elementi (3 donne e 4 uomini), tra una settimana avrà il compito di formare i membri della comunità riguardo il corretto utilizzo e la successiva gestione e manutenzione dell'impianto. “Tutti qui – afferma il leader del comitato creato su iniziativa del CVM – partecipano ai lavori, in modo del tutto volontario e contribuendo persino con dei soldi: 5 birr da parte di ogni famiglia. Si lavora tutti insieme per lo stesso obiettivo e per il bene comune.”
Per utilizzare un'ormai celebre metafora,
Simone Accattoli
Volontario in Servizio Civile, Etiopia
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