venerdì 13 marzo 2009

Quando la forza di madre fa il pane quotidiano


Sono uno di fronte all’altro, pochi metri e una strada a separarli. Due luoghi dove si uniscono, si incontrano, si conoscono vite travagliate, accomunate, pur nella loro unicità, dai motivi che lì le hanno condotte. Da una parte il carcere di Debre Tabor, mura alte, torrette con guardie armate e quell’austerità propria delle prigioni di tutto il mondo, quasi un “non luogo” dove la vita forzatamente si ferma, sospesa, mentre le altre là fuori vanno avanti. Di rimpetto, un accenno di recinzione, una casa di terra e legno, spazio aperto, dove altre vite difficili, “sbagliate” direbbe qualcuno, provano a ripartire, a voltare pagina. È qui che la Edget Behibret Association sta facendo nascere la propria attività, una panetteria, grazie alla quale questo gruppo di 35 donne sieropositive, molte delle quali senza più un marito, potranno sostenere economicamente se stesse ed i propri figli.

Le componenti di questa associazione, sorta a giugno 2008 con il supporto dello staff CVM di South Gonder, sono state selezionate all’interno della più ampia e composita Yehiwot Chora PLWHA’s Association, l’effettiva condizione di vita e le relative necessità quale unico criterio. Proprio in relazione alla particolare vulnerabilità di questo gruppo, madri sieropositive e per giunta con il bisogno di provvedere al sostentamento della prole, il CVM ha organizzato una formazione specifica di 10 giorni, durante i quali le donne sono state iniziate al programma delle IGA, cioè attività da cui generare profitto, per il cui inizio la stessa ONG italiana ha stanziato una somma di 25.000 birr (circa 1.700 Euro). Oggi, l’edificio dove verranno preparati pane ed altri cibi della tradizione etiope, da rivendere anche al vicino carcere, è praticamente ultimato, a mancare solo i macchinari atti al lavoro, che arriveranno presto da Bahir Dar e per il cui acquisto lo Zonal HAPCCO ha già messo a disposizione 20.560 birr.

Tangute Mengestu è membro dell’associazione e, parimenti alle sue compagne, ha una storia da raccontare, un’esperienza di vita che l’ha segnata profondamente, senza per questo abbatterla, ché c’è una famiglia da portare avanti, contando solo sulle proprie forze. “Dopo la morte di mio marito, – ricorda Tangute – la mia vita è stata un inferno: sola con tre bambini e senza la possibilità di provvedere al loro sostentamento, di nutrirli adeguatamente. Ma ora, con l’aiuto del CVM, ho un’opportunità importante e sono felice per questo.” La chance di una vita migliore, tuttavia, non cancella la memoria di ciò che è stato, la quale traspare da uno sguardo tristemente assorto, da quegli occhi che tradiscono un accenno di pianto.

Ha invece un sorriso solare, che non ammette ombre di tristezza, Yesheye Yalew, manager e responsabile dell’associazione, anche lei sieropositiva, madre di quattro figli, ad uno dei quali ha trasmesso il virus dell’HIV. “Abbiamo sempre apprezzato il lavoro del CVM, – dice la donna, accompagnandoci all’interno di quella che presto sarà una vera panetteria – che ci ha aiutato in molti modi, dandoci denaro ed organizzando corsi di formazione. Di questo siamo grati a Dio. Stiamo uscendo da esperienze terribili e ci sentiamo come rinate a nuova vita. Abbiamo progetti, speranze: vogliamo costruire una grande attività e dare così un aiuto concreto ai nostri figli. Per questo, contiamo di sfruttare al meglio i 300 metri quadrati a nostra disposizione: per esempio, in futuro abbiamo in programma di utilizzare la porzione di terreno dietro l’edificio per coltivare ortaggi e vegetali ed ampliare così il nostro commercio.” Da questo lato della strada, l’istante non permane; la vita è già ricominciata.


Simone Accattoli
Volontario in Servizio Civile, Etiopia

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