martedì 17 maggio 2011

C'è una ragazzina che si chiama Libertà


Questa settimana sono nella woreda di Buré Zuria, a Kucci, per seguire un training di peer educators con la mia inseparabile compagna nonché interprete Tsehay.
Kucci è un paese che negli ultimi anni ha vissuto una veloce crescita poiché è centro di un importante mercato di prodotti agricoli -con crescita intendo dire che sono aumentate le strade di terra battuta e le baracche di fango, non certo le infrastrutture.

Di mercoledì e di sabato si radunano molti mercanti provenienti dalle diverse zone della regione, ciò ha fatto accrescere l'esposizione della zona all'HIV; poiché i mercanti, muovendosi in varie località, sono un ottimo veicolo per la trasmissione del virus.
Io e Tsehay pernottiamo in un hotel, quello che qui, in Etiopia, chiamano hotel forse da noi sarebbe semplicemente chiamato bordello, è un posto in cui si serve cibo, si affittano camere e volendo si affittano anche le cameriere.

La situazione delle prostitute è una tra le più miserabili che il vasto e disastroso scenario etiope possa offrire. Sono ragazze soggiogate dalla povertà che "scelgono" di lavorare in questi hotel, lavorano dall'alba servendo colazioni, lavando lenzuola, pulendo le camere fino a notte inoltrata (in media dalle 15 alle 17 ore al giorno), e spesso non percepiscono alcuna retribuzione tranne vitto e alloggio. Non hanno alcuna forma di supporto o legame fuori dall'hotel, ciò crea una dipendenza totale da questa vita, non permettendo loro di costruirsi alcuna alternativa. Inoltre non godono di alcun genere di diritto poiché, benché la prostituzione sia estremamente comune, lo Stato la considera un reato. Sono quindi esposte ad ogni genere di abuso, il più frequente è la costrizione a non usare il preservativo. Infine, quei miseri introiti che le ragazze potrebbero procurarsi per mezzo dei loro favori sessuali sono trattenuti -in parte o totalmente- dai padroni degli hotel come rimborso per il vitto.
Mentre sto preparando un cartellone con Tsehay, nel cortile interno dell'hotel, Netsanet (libertà) si avvicina gentile e riservata e ci chiede di osservare. Così iniziamo a fare conoscenza, ha diciassette anni, viene da Shindi un paese a circa 40 km, l'anno scorso ha terminato l'ottavo grado di istruzione ed i suoi genitori volevano farla sposare. Anche se il governo ha sancito l'illegalità dei matrimoni di minorenni, questo fenomeno rimane molto frequente in particolar modo per le ragazze delle aree rurali, nella sola regione Amhara la percentuale di matrimoni di ragazzine al di sotto dei 15 anni è del 48%.

Netsanet ha cercato di opporsi, ma la famiglia non ha ceduto ed il futuro sposo l'ha intimidita con la forza. Mentre ci parla il suo bel sorriso si guasta e lo sguardo non riesce a celare tutto il dolore accumulato. Le chiediamo se la causa di tanta insistenza dei genitori a farla sposare sia la povertà, ma lei ci spiega che l'unica ragione è il prestigio sociale che la sua famiglia avrebbe guadagnato dal matrimonio. Ci racconta che anche sua sorella maggiore è stata costretta ad abbandonare la scuola per sposarsi.

Così, a sedici anni,Netsanet ha scelto di andarsene di casa; si è trasferita in questo hotel, i cui proprietari sono suoi parenti, lavora 17 ore al giorno e non riceve alcuno stipendio. Ci dice che vorrebbe tornare a casa; durante le vacanze è tornata ed ha cercato di convincere la sua famiglia a rinunciare all'idea del matrimonio, ma è stato impossibile.
Forse quando ha scelto di venire non sapeva di dover fare la prostituta, magari credeva di diventare semplicemente una cameriera e sperava anche di poter continuare a studiare; eppure ora, mentre sto scrivendo, sento la sua voce fuori dalla porta, qualcuno le chiede una camera e le specifica che non è per dormire.

Benedetta Sercecchi (Volontaria in Servizio Civile, Etiopia)

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