martedì 10 maggio 2011

Umoja


Zawadi, Neema e Frola chiacchierano rumorose all’ombra di un albero vicino alla scuola primaria di Lugoba. Parlano fitto fitto, ridono nei loro abiti colorati, in mano un fazzoletto di stoffa e cellulare. All’appello mancano ancora Rose, Hawa e Siwazuri. Ma ecco un cellulare che squilla e la notizia che le altre stanno per arrivare. Le incontriamo mentre ci incamminiamo verso la zona del mercato del villaggio, ci salutano sorridenti e si scusano per il ritardo. Ora ci sono tutte e possiamo proseguire fino al negozio di vestiti di Rose che ci ospita per il primo incontro dopo l’assegnazione del prestito per microcredito.

Zawadi, Neema, Frola, Rose, Hawa e Siwazuri sono le 6 ragazze che formano il 1 sottogruppo dell’associazione di fondi rotativi del villaggio di Lugoba. Sono ragazze dai 23 ai 30 anni che hanno chiamato il proprio gruppo di lavoro wasichana na maendeleo lunga – ragazze e la strada verso lo sviluppo. Nel mese di gennaio hanno preso parte al corso di formazione in cui hanno imparato come gestire al meglio la propria attività e i propri risparmi, appreso le regole del programma di fondi rotativi. Giorni in cui hanno avuto la possibilità di affrontare temi delicati come HIV/AIDS e diritti delle donne. Dopo la formazione hanno ricevuto la somma di denaro richiesta da investire nelle rispettive attività, migliorando così la propria vita e quella dei propri familiari.
Le ragazze sono amiche e tra loro c’è una bella intesa e voglia di fare. Con i soldi che hanno ricevuto hanno acquistato vestiti, scarpe, borse ed accessori da rivendere nei loro piccoli negozi sparsi ai vari angoli del villaggio. Si incontrano 2 volte al mese. Una volta per verificare l’andamento delle attività di ciascuna, però come spiega Neema, “…si inizia a parlare di affari, ma poi ci troviamo a confrontarci un po’ su tutto, sulle cose della quotidianità… e se qualcuna tra noi ha un problema, proviamo a trovare insieme una soluzione…”. Tra degli obiettivi che le ragazze si sono imposte per quest’anno c’è l’organizzazione di incontri e piccoli eventi con le altre donne del villaggio, momenti di riflessione e confronto su tutto ciò che vuol dire essere donna in questo paese, sulle sfide e i pericoli che questo porta con se. Hanno la voglia di condividere quanto imparato sulla prevenzione e cura dell’ HIV/AIDS e le possibilità di far valere i diritti di genere. Hanno pianificato di avere un incontro al mese, magari la domenica, dopo le funzioni religiose. L’altro appuntamento si tiene generalmente l’ultimo giorno del mese e costituisce il momento in cui Zawadi, la segretaria del gruppo, raccoglie le quote mensili di ciascuna per la restituzione del prestito.
Le ragazze sono entusiaste e vedono crescere la rispettive attività, accrescono i guadagni così come accresce la fiducia in loro stesse e nelle loro capacità. Zawadi studia nuovamente con Peace, responsabile del programma dei fondi rotativi, tutta la procedura per la raccolta delle quote e il versamento dei soldi in banca. Le altre seguono attente per non commettere errori. L’incontro finisce. Le ragazze si congedano una ad una e si danno appuntamento per il prossimo incontro. Rimane solo Rose che inizia a sistemare l’ultima merce acquistata nel negozio e mentre dispone in fila le scarpe inizia a parlare, a raccontarci un po’ di sé e della sua storia.

Rose ha 23 anni ed è la più giovane del gruppo. A 14 anni conclude la scuola primaria, ma i genitori non hanno abbastanza soldi per iscriverla alla scuola secondaria. Tuttavia vogliono poter dare la possibilità alla figlia di continuare gli studi. Una buona alternativa sembra essere rappresentata dalla scuola per infermiere di Lugoba, la cui retta annuale era di 8.000 Tsh. I soldi non sembrano bastare, ma parenti e amici del villaggio hanno aiutato Rose e la sua famiglia a sostenere le spese, raccogliendo periodicamente contributi che ciascuno, secondo le proprie possibilità, poteva dare. Così Rose frequenta e conclude il percorso di studi per poi scoprire che il certificato rilasciato dalla scuola non aveva alcuna validità, in quanto l’istituto non era stato registrato legalmente e non era quindi riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione. La delusione è stata forte, impegno e denaro non avevano dato i risultati sperati.

Allora Rose comincia a lavorare come bracciante nelle campagne che circondano Lugoba, senza però ricevere alcun tipo di compenso. Una nuova opportunità sembrava prospettarsi nel momento in cui un dottore del dispensario locale aveva chiamato Rose per lavorare al suo fianco. Opportunità che presto si è rivelata vana poiché, anche questa volta, non era previsto un guadagno. Ma i genitori, grazie anche all’aiuto della comunità, erano riusciti nel frattempo a risparmiare 20.000 Tsh consegnandoli alla figlia come piccolo capitale di avviamento per un’altrettanto piccola attività economica. Così, nel 2005, Rose comincia a vendere abiti, kanga e kitenge porta a porta riuscendo a portare qualche soldo a casa alla fine del mese. Rose decide di investire i primi risparmi acquistando 1 pollo e 4 papere con l’intensione di accudirli per poi rivenderli. Nel 2006 Rose si sposa. A questo proposito dice: “un giorno un uomo è venuto a parlare con i miei genitori chiedendomi in sposa. Loro hanno acconsentito e poco dopo abbiamo celebrato le nozze”. Un anno dopo il primo figlio. Tuttavia Rose riesce a portare avanti il proprio lavoro che però iniziava a mostrare i primi segni negativi. Vendere porta a porta significa anche dare la possibilità di acquistare facendo credito. Molte persone hanno cominciato a non pagare e di conseguenza i soldi a fine mese cominciavano a scarseggiare, proprio quando c’era una famiglia di cui prendersi cura. Rose aveva capito che era necessaria una svolta altrimenti non sarebbe stata più in grado di pagare i rivenditori e quindi di continuare a lavorare. Aprire un negozio proprio le sembrava la soluzione più adatta, ma come affrontare le spese? E’ stato allora che la CJF – Community Justice Facilitator, e il leader di Ward hanno parlato a Rose di CVM e del programma di fondi rotativi. Ed è stato allora che Rose ha potuto mettere in atto la svolta che desiderava. Con il prestito è riuscita a prendere in affitto un piccolo locale nella zona del mercato del villaggio e a riempirlo con abiti e quant’altro. Prima si recava dai rivenditori di Dar es Salaam 1 volta al mese, ora viaggia 2/3 volte al mese perché ha tante richieste e il suo negozio è conosciuto in tutto il villaggio e nelle zone vicine…le donne lo sanno che possono trovare da lei qualsiasi cosa e se hanno richieste particolari, possono farle, tanto poi ci pensa Rose ad accontentarle. I guadagni mensili sono passati da 35/40.000 Tsh a circa 100.000 Tsh con i quali riesce a pagare l’affitto e tutte le spese di casa. Dice fiera: “mio marito sa che posso provvedere anche da sola a me stessa e al bambino. E mi rispetta.” Non so bene come vadano realmente le cose tra loro, ma mentre lo diceva era orgogliosa. Orgogliosa perché dopo tanta fatica è riuscita finalmente a realizzarsi come donna e come persona, perché il lavoro le dà soddisfazione, perché le piace quello che fa e perché allo stesso tempo è riuscita a conquistare la propria indipendenza economica. Mentre usciamo dal negozio, Peace mi chiede di leggere il nome che Rose ha dato alla sua attività. Non c’è un’insegna, ma una scritta sul muro con lo spray nero Umoja, che vuol dire solidarietà. Allora ho pensato al nome, ho pensato alla solidarietà dei membri della comunità che hanno raccolto soldi per permettere a Rose di studiare, agli sforzi dei genitori che hanno risparmiato per racimolare una somma sufficiente per iniziare un lavoro, ho pensato al legame tra le ragazze del gruppo, al loro spirito comunitario e di aiuto reciproco. Ho pensato alla storia che si nasconde dietro quel nome. Ho pensato che sì, Umoja, è proprio un bel nome.

Daniela Biocca (Volontaria CVM, Tanzania)

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