martedì 31 maggio 2011

“Ye jebena bunna”: la cerimonia del caffè


Al viaggiatore che visita l’Etiopia capiterà sicuramente di assistere alla cerimonia del caffè. Questa è infatti un’usanza molto radicata nella tradizione etiope per il semplice piacere di bere questo infuso e chiacchierare insieme a parenti e amici. Può avvenire in luoghi pubblici come in abitazioni private e solitamente viene condotto dalla padrona di casa o dal proprietario del locale pubblico.

Questo rituale non può passare inosservato poiché vi si viene spesso invitati ed è puro folklore. La padrona di casa, come prima cosa, cosparge l’area destinata alla cerimonia con lunghe foglie di goosgwaze, una tipica erba etiope che, appena tagliata emana un fresco profumo: in questo modo viene creato uno scenario naturale che rappresenta l’originale legame tra l’uomo e la natura. Dopo aver creato questa atmosfera adatta al rito, la donna, seduta su un piccolo sgabello davanti a un braciere, con precisi e antichi gesti rituali brucerà prima l’incenso e poi laverà e tosterà in una piccola padellina dei grani di caffè che in seguito verranno macinati lentamente nel mukecha, un piccolo mortaio. Prima di essere macinati la tradizione vuole però che tutti i partecipanti inalino a pieni polmoni la fragranza emanata dai chicchi tostati. La polvere ottenuta verrà introdotta nella jebena, l’originale caffetteria di terracotta nera dal collo lungo e stretto contenente acqua calda, che, portata ad ebollizione, originerà la bevanda diffondendone nell’aria l’inconfondibile aroma. L’ultima fase della cerimonia è quella in cui la bevanda viene servita bollente e zuccherata partendo dall’ospite più anziano fino a che tutti i partecipanti ne abbiano bevute tre sini,le tradizionali tazzine senza manico. Solitamente questa cerimonia viene ripetuta per tre volte nell’arco della giornata. A seconda della tradizione della regione in cui ci si trova si potrà gustare il caffè con il burro locale oppure addirittura con un aggiunta di sale.
Legate al caffè ci sono numerosissime e varie leggende, la più famosa è quella di Kaldi.
Kaldi era un pastore che si accorse che le sue capre ogni volta che mangiavano strane bacche rosse che crescevano spontanee da un certo tipo di cespuglio, iniziavano a saltellare e a correre in modo strano; incuriosito provò lui stesso ad assaggiare quei chicchi e, provando un certo senso di euforia, si recò nel vicino convento a mostrare quei frutti misteriosi e farli esaminare. I monaci sentenziarono subito che quei frutti erano “un’opera del diavolo” e li gettarono nel fuoco per eliminarli: questo gesto involontario fece si che le bacche, tostandosi, diffondessero nell’aria l’inconfondibile aroma che tutti conosciamo. A questo punto i monaci, sempre più convinti che quell’arbusto fosse “un’opera diabolica”, pestarono i chicchi per spegnere la brace, ottenendo in questo modo la polvere, che messa in acqua bollente , permise di ottenere un infuso capace di trasmettere euforia. Da questa storia nasce la famosa catena di caffetterie simile a Starbucks, conosciuta a livello mondiale come KALDI’S COFFEE.

Un altro racconto popolare sull’origine del caffè sostiene che gli abitanti del Kaffa, una delle regioni più verdi dell’Etiopia probabilmente terra naturale del caffè che qui cresce allo stato selvatico, ne scoprirono l’aroma grazie a un enorme incendio in seguito al quale, raccolti i chicchi ormai tostati li utilizzarono casualmente per preparare una bevanda che riscosse immediato successo nel circondario poiché, oltre che buona da gustare, aveva poteri eccitanti.
I mussulmani invece sostengono che Allah abbia bevuto caffè il giorno in cui creò il mondo e del vino il giorno in cui nacque il peccato originale: ed è per questo motivo che il caffè viene considerato dagli islamici portatore di saggezza, mentre il vino di follia.
Il caffè sempre secondo i racconti leggendari, venne importato in Arabia dagli schiavi che lo utilizzavano per sopravvivere al duro regime di vita grazie alle sue qualità stimolanti. In Europa, invece, il caffè venne a lungo guardato con diffidenza poiché la Chiesa sostenne che quel frutto era “opera del diavolo”; fu solo verso la metà del XVII secolo che si diffuse in larga scala nel mondo occidentale, grazie ai commercianti arabi, diventando in breve tempo la seconda bevanda più apprezzata, dopo il tè.

Marta Bonalumi (Volontaria CVM - Etiopia)

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