venerdì 27 maggio 2011

Giovani in Movimento


Esistono molti modi di educare e di fare scuola differenti dalla lezione frontale e dalla relazione docente-discente, esistono modi in cui si coinvolge l'intera comunità e si instaura un rapporto tra pari, ed è proprio questo il cammino che hanno intrapreso alcune ragazzine che ho incontrato in una scuola elementare ad Injibara.
La Bahunk primary school è una delle scuole dell'Amhara region, in cui si è sviluppato un importante sistema di peer education. Alcune ragazze della 7° e 8° classe, grazie ai training organizzati dal CVM, sono state formate sulle problematiche di genere, sui diritti delle donne e sulla prevenzione e controllo HIV/AIDS, e poi si sono organizzate per diffondere e condividere con gli altri studenti e con la comunità queste conoscenze così da combattere l'ignoranza e i soprusi.
Le ragazze hanno un'età compresa tra i 13 ed i 17 anni e provengono da zone rurali intorno ad Injibara, questi dati non sono di secondaria importanza poichè è nelle zone rurali che il tasso di matrimoni precoci raggiunge picchi molto elevati e le donne subiscono frequenti abusi.
Sono entusiaste di potermi parlare della loro esperienza come peer educators, perchè vedono in questa prassi un buon metodo per migliorare la società e, al contempo, loro stesse.
La prima domanda che pongo loro riguarda la motivazione che le ha spinte a diventare peer educators. Birhane Tazase (14 anni) mi risponde che vuole acquisire una buona conoscenza sui diritti delle donne e sulla parità con gli uomini, inoltre essere peer educator le permette di esprimere liberamente le proprie idee all'interno della scuola e della famiglia, così da condividere le proprie conoscenze con gli altri e operare attivamente per sensibilizzare la società. Anche le altre sono d'accordo, Bosena Boqale aggiunge, inoltre, che tramite i training hanno acquisito molte nozioni relative al problema dell'HIV/AIDS, liberandosi così da frequenti stereotipi generati dall'ignoranza.
Per capire meglio il loro grado di organizzazione, domando loro quali siano le attività che svolgono in qualità di peer educators. In primis supervisionano il rispetto dell'uguaglianza di genere all'interno dell'istituto scolastico, promuovendo discussioni e denunciando soprusi, contribuendo così allo sviluppo di buone attitudini tra un numero sempre maggiore di studenti.
Una ragazza mi racconta che è riuscita ad abolire la distinzione di ruoli dentro la sua famiglia e tra i suoi amici. Ha, infatti, insegnato a due suoi amici a fare tutti i lavori femminili, dalla cura dei bambini alla preparazione dei pasti .
Mi mostrano il loro PoA (plan of action) in cui pianificano le attività mensilmente, sono riuscite a condividere le loro conoscenze con moltissimi studenti, infatti hanno organizzato dei training all'interno della scuola per informare gli altri ragazzi sui rischi dell'HIV, sulle modalità di trasmissione e sulla prevenzione, anche questa attività è utilissima per la comunità, infatti sono proprio le ragazzine in età scolare ad essere più esposte al rischio di contrarre il virus dell'HIV. Nella zona di Awi come in quella di West Gojjam, il tasso di incidenza del virus tra le donne è più che doppio rispetto a quello degli uomini .
Hanno anche organizzato dei training sulla peer education, così da coinvolgere altri alunni nella loro attività e raggiungere un numero sempre maggiore di studenti e famiglie. Grazie alla presa di coscienza dell'equità di diritti tra uomini e donne, l'abbandono scolastico femminile in Awi Zone è quasi scomparso. Infine, agiscono in collaborazione con il Social Affair Office e con il Women Affair Office per prevenire i matrimoni precoci, informando le autorità qualora vengano a sapere che si sta progettando un matrimonio precoce (questo trimestre ne hanno bloccati due).
In conclusione, chiedo loro cosa credono che leghi l'educazione, la conoscenza e la libertà; mi rispondo senza titubare che non esiste libertà senza educazione, che l'uguaglianza tra uomini e donne dipende dal loro accesso alla scuola e che la conoscenza è un diritto inviolabile senza il quale non ci può essere giustizia. Queste ragazzine sono soggetti attivi di questo processo di conoscenza e condivisione, sono dei motori di cambiamento perché agiscono là dove né la scuola, né il governo, né altre istituzioni riescono ad arrivare. Con il loro impegno costante dimostrano come la vera chiave per la liberazione passa sempre attraverso l'attività degli oppressi ed il capovolgimento dei rapporti di forza. Sono le ragazzine che normalmente subiscono abusi, che sono tenute nell'ignoranza e sono considerate inferiori agli uomini che si sono attivate e che lavorano nella comunità informando e tutelando, occupando il posto degli insegnanti, e dei tutori della giustizia, sono loro a prendere coscienza dell'oppressione e dell'ingiustizia che subiscono per denunciarla e creare una situazione migliore, una situazione che le rispetti. La peer education sembra essere un meraviglioso metodo per realizzare questo lungo processo di crescita comunitaria, per dare la parola agli oppressi e lasciar loro costruire la realtà che desiderano.
Le saluto e le ringrazio poiché, con una serena intransigenza, testimoniano ai miei occhi che esiste una possibilità di liberare educando.


Benedetta Sercecchi (Volontaria CVM, Etiopia)

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